Omogeneità ed uguaglianza del suono

FluteGuy

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13 Ottobre 2019
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Ho sentito spesso predicare fino all'esasperazione il mito dell'omogeneità ed uguaglianza del suono.
Ma quanti di noi hanno ben compreso questo concetto? Secondo il mio modesto parere è qualcosa che può essere valido solo per gli esercizi del Moyse!
Nella realtà durante l'esecuzione di un brano bisognerà cercare tutt'altro che l'eguaglianza, ma soprattutto la differenziazione dei suoni, la duttilità.

Mi è venuto di scrivere questo dopo aver ascoltato l'Allemanda dalla Partita in La min di Bach eseguita da Pahud.
Certamente grandissimo flautista. Ma questo tipo di suono su Bach così pompato e tagliente su ogni singola nota mi infastidisce.

 
Lungi da me dal giudicare un "mostro sacro" come Pahud!
Mi limito a dire che Berlioz nel suo famoso "Grande trattato di strumentazione" scrive a proposito del flauto: "La sonorità di questo strumento è dolce nelle note medie, penetrante negli acuti, ed assai caratterizzata nei bassi".
Ma guardacaso Mozart inizia il suo concerto in Sol in modo diametralmente opposto! Ovvero al registro medio da un tema ritmico, marziale, percussivo. Da ciò si deduce che non esistono regole in quanto il suono è soggettivo in base all'autore e/o all'interprete
 
È tutta una questione di imitazione dei dischi di scuole stereotipate. Ormai da svariati decenni è in atto una massificazione interpretativa ed estetica. Queste scuole stanno crescendo polli da batteria in serie, tutti uguali!
Il mio amato Gazzelloni, durante le sue lezioni sulle Sonate di Bach, non eseguiva mai una sola volta le legature nella stessa maniera ed i tempi dei Concerti di Mozart oscillavano di 20-30 numeri metronometrici in più o in meno secondo il momento. A lui piaceva ricreare la musica ogni volta diversamente. ll suono va visto come mezzo espressivo e non come puro atleticismo fine a se stesso.
 
Ciao tutti. La questione è complessa e provo a descrivere ciò che credo di aver intuito nella mia esperienza. Il flauto metallico sistema Boehm (1847) è uno strumento nuovo rispetto al traversiere e ai flauti di legno con cameratura conica. Risulta più intonato, potente ed omogeneo. Quando comparve, molti lo osteggiarono proprio perché, oltre ad altri motivi (come ad esempio la necessità di imparare una nuova diteggiatura), aveva un suono diverso, mancante delle differenze sonore fra i registri e le diverse note, fino ad allora apprezzate. Per alcuni il suo suono appariva anti-musicale, poco delicato, sguaiato, che non si integrava con gli altri legni e gli archi dell'orchestra. Oltre alla diversa concezione sonora che implicava, necessitava di un modo diverso di suonare con una tecnica appropriata. Nacquero quindi metodi specifici e la scuola francese definì un modello sonoro che intendeva imitare il solismo del violino e la voce dei cantanti. Si voleva un suono puro e cristallino, con un leggero vibrato, molto legato, privo di differenza fra i vari registri. Taffanel, Moyse, Rampal hanno fatto scuola e si è imposto un suono ben timbrato e con grande proiezione, benché con spiccati colori dinamici (si ascoltino ad es. le registrazioni di flautisti come M. Larrieu, K. Zoller, C. Klemm, A. Nicolet, P.L. Graf, W. Bennet, A. Tassinari, ecc.). Poi è apparso J. Galway che ha stravolto il mondo flautistico con un suono ancora più potente e dalle spiccate qualità solistiche. L'emigrazione dei flautisti francesi, le molte masterclass, la facilità degli spostamenti dovuta ai moderni mezzi di trasporto e l'attuale globalizzazione della comunicazione, hanno determinato la scomparsa delle scuole nazionali (con le loro differenze) e l'omologazione delle tecniche di emissione. Oggi è praticamente inammissibile suonare poco intonato o stimbrato; la concezione moderna del suono flautistico vuole presenza solistica e grande omogeneità (e questo non vuol dire essere inespressivi e privi di differenziazione dinamica). Quando gli insegnanti chiedono omogeneità vogliono che ogni suono di una linea melodica sia ben timbrato, relativamente parlando, di pari intensità e timbro. Ciò presuppone che ogni nota sia ben emessa e sostenuta, direzionata e legata. E' necessario rafforzare le note più deboli (ad es. quelle gravi), addolcire le note dell'estremo acuto, eliminare la sonorità vuota di alcune note (ad es. do#, mib). Immaginate un passo in cui una nota sia giusta, una stimbrata, l'altra forte e l'altra ancora debole. Vi piacerebbe? Avrebbe senso? L'espressione sonora è simile al parlato. Non si parla meccanicamente; esiste una logica di condurre la frase; ci sarà un'accentazione e un'intensificazione direzionata, un'uso del fiato ed un modo di portare la conclusione. Certamente non dite una parola debole, l'altra forte, poi una con timbro diverso, l'altra fortissima, eccetera. Così non potete suonare ad esempio una scala con un suono fortissimo, l'altro con intensità minore, uno con colore dolce, l'altro sforzato e via dicendo. Non potete suonare note presenti all'inizio finché avete fiato e poi indebolire per via della mancanza di fiato; non potete avere una nota bella timbrata e l'altra sbiadita, sfocata. Non potete avere una nota intonata e l'altra no (le due note devono avere il giusto rapporto fra loro). La vostra respirazione e la vostra imboccatura devono essere capaci di gestire la situazione. La vostra imboccatura non può "slabbrarsi", così da perdere direzione e concentrazione del soffio, a discapito dell'intonazione e del timbro. Naturalmente l'interprete rende la sua esecuzione bella e musicale, variando colori e dinamiche a seconda del caso; ma il substrato del suono sarà sempre ben definito: la nota forte sarà timbrata al pari di quella in piano. E' necessario dunque, allenarsi a timbrare tutti i suoni, a soffiare sufficientemente in ogni punto della frase, ad eliminare le differenze fra i registri e nelle note più scomode, affinché l'omogeneità ci venga in soccorso per essere belli ed espressivi. Caro FluteGuy l'interpretazione di Pahud può non piacere, ma non può dirsi inespressiva. Se ascolti bene, sentirai che ci sono tutte le note (omogeneità), ma che sono condotte con diversa intensificazione e con un fraseggio musicale.
 
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Ciao tutti. La questione è complessa e provo a descrivere ciò che credo di aver intuito nella mia esperienza. Il flauto metallico sistema Boehm (1847) è uno strumento nuovo rispetto al traversiere e ai flauti di legno con cameratura conica. Risulta più intonato, potente ed omogeneo. Quando comparve, molti lo osteggiarono proprio perché, oltre ad altri motivi (come ad esempio la necessità di imparare una nuova diteggiatura), aveva un suono diverso, mancante delle differenze sonore fra i registri e le diverse note, fino ad allora apprezzate. Per alcuni il suo suono appariva anti-musicale, poco delicato, sguaiato, che non si integrava con gli altri legni e gli archi dell'orchestra. Oltre alla diversa concezione sonora che implicava, necessitava di un modo diverso di suonare con una tecnica appropriata. Nacquero quindi metodi specifici e la scuola francese definì un modello sonoro che intendeva imitare il solismo del violino e la voce dei cantanti. Si voleva un suono puro e cristallino, con un leggero vibrato, molto legato, privo di differenza fra i vari registri. Taffanel, Moyse, Rampal hanno fatto scuola e si è imposto un suono ben timbrato e con grande proiezione, benché con spiccati colori dinamici (si ascoltino ad es. le registrazioni di flautisti come M. Larrieu, K. Zoller, C. Klemm, A. Nicolet, P.L. Graf, W. Bennet, A. Tassinari, ecc.). Poi è apparso J. Galway che ha stravolto il mondo flautistico con un suono ancora più potente e dalle spiccate qualità solistiche. L'emigrazione dei flautisti francesi, le molte masterclass, la facilità degli spostamenti dovuta ai moderni mezzi di trasporto e l'attuale globalizzazione della comunicazione, hanno determinato la scomparsa delle scuole nazionali (con le loro differenze) e l'omologazione delle tecniche di emissione. Oggi è praticamente inammissibile suonare poco intonato o stimbrato; la concezione moderna del suono flautistico vuole presenza solistica e grande omogeneità (e questo non vuol dire essere inespressivi e privi di differenziazione dinamica). Quando gli insegnanti chiedono omogeneità vogliono che ogni suono di una linea melodica sia ben timbrato, relativamente parlando, di pari intensità e timbro. Ciò presuppone che ogni nota sia ben emessa e sostenuta, direzionata e legata. E' necessario rafforzare le note più deboli (ad es. quelle gravi), addolcire le note dell'estremo acuto, eliminare la sonorità vuota di alcune note (ad es. do#, mib). Immaginate un passo in cui una nota sia giusta, una stimbrata, l'altra forte e l'altra ancora debole. Vi piacerebbe? Avrebbe senso? L'espressione sonora è simile al parlato. Non si parla meccanicamente; esiste una logica di condurre la frase; ci sarà un'accentazione e un'intensificazione direzionata, un'uso del fiato ed un modo di portare la conclusione. Certamente non dite una parola debole, l'altra forte, poi una con timbro diverso, l'altra fortissima, eccetera. Così non potete suonare ad esempio una scala con un suono fortissimo, l'altro con intensità minore, uno con colore dolce, l'altro sforzato e via dicendo. Non potete suonare note presenti all'inizio finché avete fiato e poi indebolire per via della mancanza di fiato; non potete avere una nota bella timbrata e l'altra sbiadita, sfocata. Non potete avere una nota intonata e l'altra no (le due note devono avere il giusto rapporto fra loro). La vostra respirazione e la voltra imboccatura devono essere capaci di gestire la situazione. La vostra imboccatura non può "slabbrarsi", così da perdere direzione e concentrazione del soffio, a discapito dell'intonazione e del timbro. Naturalmente l'interprete rende la sua esecuzione bella e musicale, variando colori e dinamiche a seconda del caso; ma il substrato del suono sarà sempre ben definito: la nota forte sarà timbrata al pari di quella in piano. E' necessario dunque, allenarsi a timbrare tutti i suoni, a soffiare sufficientemente in ogni punto della frase, ad eliminare le differenze fra i registri e nelle note più scomode, affinché l'omogeneità ci venga in soccorso per essere belli ed espressivi. Caro FluteGuy l'interpretazione di Pahud può non piacere, ma non può dirsi inespressiva. Se ascolti bene, sentirai che ci sono tutte le note (omogeneità), ma che sono condotte con diversa intensificazione e con un fraseggiare musicale.
Quello che scrivi è giusto e condivido tutto a pieno!
Però non ho mai scritto che l'interpretazione di Pahud sia inespressiva. Anzi, intendevo dire proprio l'esatto contrario. In molti punti pecca di eccesso di espressività tanto da snaturare il modo di suonare di questo brano così com'era stato concepito all'origine (quindi va collocato in un determinato periodo e scritto per un determinato tipo di flauto traverso). Poi è questione di abitudini.
Per carità, non sto assolutamente dicendo che Pahud non è capace. Lui potrebbe eseguire lo stesso brano in 2mila modi diversi e rivoltarlo come un calzino. Non sto contestando le capacità tecniche assolutamente invidiabili di Pahud.
Comunque il mio era solo un esempio. Avevo lanciato il sassolino per vedere come gli altri la pensavano.
Spesso sento flautisti voler emulare i grandi interpreti "mostri sacri" del nostro tempo (come dicevi tu, Galway, Pahud...) ma in modo sbagliato. Cercando solo la potenza, il SUONONE!
 
Caro FluteGuy hai fatto benissimo a lanciare il sassolino; le discussioni servono proprio per scambiarsi idee diverse.
Ti do ragione per quanto riguarda l'esistenza di molti flautisti che cercano di imitare malamente i mostri sacri. Come la tecnica fine a se stessa non ha senso, così il suonone da solo e a prescindere è assurdo. Però, al 90% dei casi il suono deve essere sempre timbrato e intonato (ho lasciato fuori un 10% considerando i casi in cui è richiesto esplicitamente di effettuare suoni dalla timbrica "sbiadita" o discostamenti di intonazione). Ognuno dovrebbe avere la sua voce, ma ben impostata ed emessa.
Credo tu stia parlando di stile e qui si apre un altro capitolo infinito. Infatti, la moderna interpretazione informata vorrebbe che si suonasse con gli strumenti e con la prassi dell'epoca della composizione. Il nostro J.S. Bach quindi non andrebbe suonato sul flauto moderno. Tuttavia, certi brani sono entrati nel repertorio flautistico e si accettano anche interpretazioni con il flauto Boehm. Naturalmente in questo caso, il flautista dovrà cercare di rimanere quanto più possibile fedele allo spirito della composizione ed evitare azioni evidentemente fuori stile. Tuttavia, come detto, il flauto Boehm è un altro strumento rispetto al traversiere e quindi non potrà mai riprodurre al 100% il suo effetto sonoro. E' una questione di gusto: c'è il purista che propende filologicamente per il traversiere e chi rimane legato al nostro "trombone" (va detto che ogni strumento è perfetto e consono per la sua epoca; non voglio dire che il traversiere sia superiore al nostro flauto, infatti come farebbe un traversiere a sopperire alle esigenze della musica moderna?).
Tornando a Pahud è interessante notare che suona tutto staccato (con il colpo semplice) e senza rubato (come fanno in maniera irritante alcuni flautisti), ma con una direzione e un'intensificazione che asseconda la linea melodica. Per alcuni suonare senza articolazione (voglio dire senza differenti legature) o senza colpo doppio può non essere accettato. Ma io devo dire che mi piace la decisione di Pahud, anzi la trovo più corretta. Ma ripeto sono opinioni.
 
Qui un esempio di interpretazione su traversiere da parte di Marten Root, insegnante di flauti storici al Conservatorio di Amsterdam e alla Hochschule per le arti di Brema
Ad essere sinceri, a me non piace come si sofferma, a mio parere esageratamente, su certe note; il modo con cui velocizza verso i culmini e rallenta verso le cadenze; ma soprattutto, le mie orecchie non sopportano il mi calante a conclusione della prima sezione (battuta 19).
 
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Qui un esempio di interpretazione su traversiere da parte di Marten Root, insegnante di flauti storici al Conservatorio di Amsterdam e alla Hochschule per le arti di Brema
Ad essere sinceri, a me non piace come si sofferma, a mio parere esageratamente, su certe note; il modo con cui velocizza verso i culmini e rallenta verso le cadenze; ma soprattutto, le mie orecchie non sopportano il mi calante a conclusione della prima sezione (battuta 19).
È esattamente come me l'hanno insegnato a suonare i miei maestri :D (Mario Ancillotti in primis)
Forse la questione sta tutta lì. Cioè dipende da come si ha un determinato brano nell'orecchio. L'abitudine la fa da padrona. Se uno ha abituato a suonarlo in una certa maniera, poi quando si ascolta qualcosa di differente, non piace.
 
Avete provato ad ascoltare questo brano eseguito al flauto dritto? Trovo che il timbro del flauto dolce sia appropriato per questa composizione. Tuttavia, è il modo con cui si suona che fa la differenza. A titolo di esempio, pongo qui l'interpretazione di un mostro sacro (Michala Petri) che però, a mio parere, snatura l'allemanda. Notate la velocità: la trovo eccessiva.


Similmente alla velocità, sono dell'idea che tutto ciò che è eccessivo finisce per risultare inelegante e musicalmente non adatto. In particolare, credo che la musica di J.S. Bach abbia una tale potenza espressiva da non necessitare granché: né rubati, né eccessive accentazioni, differenze dinamiche, sospensioni o particolari oscillazioni ritmico-temporali. Più in generale, la musica barocca è caratterizzata da simmetria, da chiara costruzione strutturale ed essenzialmente sfrutta l'alternanza del piano e del forte (del concertino e del tutti). Con essa è utile enfatizzare, in maniera garbata, la direzione melodica, il cambio armonico e la suddivisione strutturale. Ecco perché apprezzo l'interpretazione di Pahud, il quale restituisce la chiarezza della forma. L'andamento che lui restituisce non è metronomico eppure è elegantemente rigoroso; presenta un'intensificazione espressiva che però non diviene "romantica"; mostra nell'insieme un fluire della musica che esprime l'unicità dell'opera; mantiene un timbro che, al di là dell'adeguatezza filologica, risulta omogeneo quasi fosse la voce di un organo. La sua interpretazione è vibrante, nonostante sia costruita sulla base della semplicità e della precisione. Ma comunque, come abbiamo detto fin qui, si tratta di gusto ed il gusto è soggettivo (e storicamente mutevole).