Storia del flauto dolce: Il Barocco

Sweety

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3 Settembre 2019
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Con il passaggio al XVII secolo si chiuse un'epoca, una civiltà, quella rinascimentale; e con essa un'idea, una filosofia, una prassi della musica. Con l'avvento del barocco, i cambiamenti furono molto radicali. A livello teorico si introdussero le tonalità; sul piano armonico quindi si crearono accordi via via più complessi, e , soprattutto, nacque il basso continuo (una specie di accompagnamento melodico-armonico ad uno o più strumenti solisti); si creò appunto il concetto di solismo, legato, soprattutto all'inizio a quello di virtuosismo. Ecco quindi che il flauto dolce, essendo uno strumento melodico, divenne prevalentemente uno strumento solista.
Poco alla volta si costruirono flauti dalle possibilità tecniche sempre maggiori, e così anche i compositori sperimentarono e ricercarono virtuosismi sempre più vertiginosi.
È questo appunto il significato delle composizioni solistiche chiamate "Ricercari", da non confondere con i Ricercari di carattere contrappuntistico. Essi si avvicinano al moderno concetto di Studio e raramente raggiungono una elevata validità musicale. Con la nascita del virtuosismo solistico, si iniziò a differenziare la figura di compositore da quella di esecutore (anche se questo processo rimarrà alquanto limitato per tutto il periodo barocco). Si formarono, comunque, grosse personalità musicale quali un Frescobaldi o un Monteverdi. Il solismo inoltre favorì l'acquisizione definitiva, sia pur in modo molto graduale, del concetto di destinazione strumentale specifica ad una data composizione. In altre parole, ora i compositore scrivevano un brano, per esempio una Sonata o una Canzona, per quello strumento particolare, che poteva essere nella maggior parte dei casi un violino o un cornetto; questo fatto per non escludeva la possibilità di poter utilizzare anche altri strumenti, come il flauto dolce appunto, tanto che spesso gli autori facevano seguire all'indicazione strumentale, scelta come ottimale, le frasi "o altro strumento simile" o "et ogni altro instromento".
Nella prima metà del XVII secolo la denominazione "flauto" indicava un modello abbastanza preciso di flauto dolce: si trattava, nella maggior parte dei casi, di un "alto in sol", ossia un flauto tagliato un tono sopra l'attuale contralto in fa; lo strumento più acuto, il moderno soprano in do, era invece chiamato spesso "flautin". Questa distinzione di termini rimase in uso per tutto il periodo barocco pressochè invariata: nel 700 per "flauto" si intendeva il contralto in fa, mentre il soprano in do veniva chiamato spesso "flauto piccolo".
Non ci rimangono molte composizioni specificatamente destinate al flauto; tra queste troviamo diversi Ricercari per flauto solo di Aurelio Virgiliano (da "Il Dolcimelo", manoscritto risalente ai primissimi anni del 1600) alcune Canzoni a più strumenti (tra i quali appunto il flauto) di Giovanni Picchi (1624); per il "flautin" ci rimangono due Canzoni di Giovanni Battista Riccio (1620). Esisteva sempre comunque la possibilità di eseguire al flauto la grande quantità di composizioni lasciateci senza una indicazione strumentale specifica, o, addirittura, come ho già spiegato prima, la possibilità di suonare con il flauto brani scritti per violino o per cornetto. In questo senso sono oramai patrimonio di ogni buon flautista le Canzoni di Gerolamo Frescobaldi (1628-1634) le Sonate di Giovanni Paolo Cima (1610) alcune delle Sonate di Giovanni Battista Fontana (1641, postume) o di Dario Castello (1621, 1629), e moltissime altre composizioni.
In questo secolo di fervidi cambiamenti musicali, nasce anche il melodramma, un genere musicale a cui Claudio Monteverdi diede un impulso determinante. E il flauto dolce ebbe un posto d'onore anche nelle opere della prima metà del 600. Era utilizzato soprattutto nelle Sinfonie e nei ritornelli strumentali, e sovente accompagnava anche i cori; comunque era un tipico strumento adatto a scene pastorali. Era sicuramente presente agli inizi del XVII secolo nei complessi strumentali delle cappelle musicali e delle corti del nord-Italia, tanto che Monteverdi lo impiega sia nella partitura dell'Orfeo (1607), forse il più famoso tra i primi melodrammi, sia nell'altro suo capolavoro: il "Vespro della Beata Vergine" (1610)
 

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3 Settembre 2019
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LA FRANCIA

Con la metà del 1600 il flauto dolce subì, dal punto di vista formale strutturale, alcune sostanziali modifiche. E soprattutto nella Francia di Luigi XIV che, ad opera di famiglie quali gli Hotteterre, questo strumento si stabilizzò nella sua forma decisamente barocca. Si costituiva in tre parti, la testa , il corpo e il piede; esteriormente lo si arricchiva di anelli e fregi, i legni di costruzione cambiarono (il bosso ne divenne il principale), ma soprattutto l'imboccatura diventò più stretta e il tubo sonoro più conico. Rispetto al modello rinascimentale era sicuramente meno sonoro (soprattutto nel registro basso), ma acquisto certamente un timbro più delicato ed interessante.
Con il consolidarsi del solismo non si usarono più indistintamente tutti gli strumenti della famiglia del flauto dolce, come avveniva nel Rinascimento. Lo strumento principe della metà del 1600 divenne il contralto, tagliato in fa; decisamente secondari risultarono il soprano e il "voice flute" (usato quasi esclusivamente appunto in Francia e In Inghilterra), quest'ultimo era una specie di flauto tenore, tagliato però in re: con questo strumento si poteva eseguire ad esempio la letteratura scritta per il flauto traverso, avendo praticamente un'estensione molto simile. Ancora una volta al cambiamento dello strumento, corrispose un cambiamento dei gusti musicali: sarebbe impensabile eseguire la musica barocca francese così sofisticata (come d'altronde tutta la cultura d'oltralpe di quell'epoca), con i flauti rinascimentali, dal suono così pieno da poter quasi competere con quello di un trombone. Gli strumenti a fiato, ed in particolare il flauto dolce, occuparono un posto di rilievo nella produzione musicale francese; è di Jacques Hotteterre le Romain il "Trait, de la flute a bec" apparso nel 1707 Il flauto veniva utilizzato dai compositori francesi, soprattutto nel registro basso: ed è infatti qui che lo strumento ha un suono più caldo; era caratteristica di questi compositori ricercare piuttosto un timbro interessante che non un superficiale virtuosismo manuale: era questa una peculiarità dello stile francese che tanta importanza ebbe nel periodo barocco. Non bisogna per questo pensare che questa musica risulti tecnicamente facile per un flautista: tutt'altro; i virtuosismi sono e timbrici che richiede l'interpretazione di questa musica sono particolarmente impegnativi.
Nella produzione musicale francese del periodo barocco, ancora rimase abbastanza aperta la problematica della destinazione strumentale specifica di un determinato brano.
Nella letteratura destinata a strumenti melodici le indicazioni della strumentazione il più delle volte erano abbastanza generiche; nei frontespizi di molte delle raccolte di Suites e Sonate, si legge: "pour les Haut-bois, Flutes, Violons etc."; oppure "pour la Flute-traversiere, et autres Instruments".
Fra i pochissimi esempi di utilizzazione specifica del flauto dolce, troviamo la Sonata "pour le Flute-a-bec" di Anne Danica-Philidor che si trova nel "Premier Livre de Pièces" (1712), e una versione per flauto dolce del brano clavicembalistico "Le Rossignol en amour", versione suggerita dallo stesso autore: Francois Couperin.
Ma appartengono al normale repertorio di flauto dolce anche brani come le "Suites" di Jacques Hotteterre (1715) le "Sonates en trio" (1712) sempre dello stesso autore, i "Pièces en trio" di Mari Marais 1692), e moltissime altre musiche.
 

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3 Settembre 2019
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L'ITALIA

In Italia l'uso degli strumenti a fiato, in generale, non fu così diffuso come lo fu, ad esempio, in Francia. Il flauto dolce rappresentò, comunque, un'eccezione. Lo si trova impiegato, con uguale importanza, in tutte le più importanti suole della penisola. Iniziamo da quella napoletana. Autori più conosciuti, come Alessandro Scarlatti, e meno, come un Francesco Mancini o un Domenico Sarri, scrissero molto per flauto dolce. È presente in opere e oratori, sonate e concerti da camera. Rimane fondamentale, in tal senso, un manoscritto conservato nella Biblioteca del Conservatorio di Napoli e redatto molto probabilmente ne 1725. In questa fonte si trovano nei 24 Concerti per flauto ed archi (intesi sempre però come strumento solistici e mai orchestrali). Alessandro Scarlatti, ad esempio, è presente in questa raccolta con ben 7 Sonate a flauto, 2 violini e Basso continuo.
Importante anche la raccolta di Sonate dal titolo "XIII Solos for a Violin or a Flute" e pubblicate a Londra nel 1724, composte da Francesco Mancini.
Il fatto che questa opera di un autore italiano sia stata stampata a Londra, rientrava in una consuetudine abbastanza diffusa all'epoca. Stessa sorte toccò ad esempio alle Sonate di Martino Bitti (1711), di Giovanni Bononcini (1722) e di Francesco Barsanti (1724). In Italia per flauto dolce si pubblicarono solamente le Sonate di Benedetto Marcello (1712) e le Sonate di Paolo Benedetto Bellinzani (1720). Come vedremo anche più avanti, questo fatto si può spiegare per delle precise ragioni di mercato: in Inghilterra esisteva un gran numero di dilettanti di questo strumento, cosa che senz'altro indusse gli editori londinesi (e soprattutto Wash and Hare) a stampare moltissime opere per flauto; in Italia evidentemente il violino aveva polarizzato quasi completamente sia la produzione musicale che l'editoria. Questo spiegherebbe anche un altro fatto: molto spesso, come abbiamo già visto in Mancini, nei frontespizi di raccolte di sonate italiane del 700, leggiamo: "per il Flauto o Violino", segno evidente che gli autori italiani non volevano privarsi a priori di un gran numero di possibili fruitori della propria musica, i violinisti appunto; e tanto meno gli editori.
È il caso ad esempio, delle "II Sonate a Violino o Flauto" di Francesco Maria Veracini, una raccolta manoscritta, datata 1716. Bisogna dire però che quasi tutte le dodici sonate che compongono quest'opera specifica, sono senz'altro più violinistiche che flautistiche. È spiegabile perfettamente , visto peraltro che Veracini fu un riconosciuto virtuoso dello strumento ad arco.
Sempre rimanendo ad autori violinisti (quanti ne produsse l?italia del XVIII secolo!), passiamo ad un grande ed amato personaggio: Antonio Vivaldi. È stato senz'altro uno dei compositori italiani più rappresentativi del periodo barocco, ed è stato anche uno dei più importanti compositori per flauto dolce. Ha scritto veramente molto per questo strumento: una caratteristica comune a tutte le sue composizioni per flauto, è l'estrema difficoltà, che arriva ad impegnare il virtuoso di flauto dolce sino alle estreme possibilità dello strumento.
A differenza dei suoi contemporanei italiani, egli utilizza tutta l'estensione che questo gli permetteva (in Italia usualmente si preferiva invece sfruttare soprattutto il registro medio e grave dello strumento).
Della produzione flautistica vivaldiana ci rimangono sonate, concerti con archi e da camera (insieme ad altri strumenti solistici), trii, e qualche intervento nelle opere, nelle cantante e negli oratori. Abbiamo detto appunto, che la sua produzione si caratterizza per l'estremo virtuosismo richiesto al flautista. Questo si evidenzia soprattutto nei concerti: in particolar modo nei tre (due in do magg, e uno in la min) scritti per flautino (uno strumento ancora oggi non ben definito, ma evidentemente simile al sopranino in fa) e in quello in do min. per contralto. Uno dei motivi che sicuramente suscitarono l'interesse da parte di Vivaldi per il flauto dolce, era essenzialmente quello di avere uno strumento dalle possibilità virtuosistiche che soltanto il violino, parlando di strumenti melodici, poteva eguagliare.
Lo stile italiano del periodo barocco influenzò molti altri stili nazionali, come ad esempio quello inglese; molti italiani si trasferirono a Londra, dove trovarono successo. Fu il caso anche di Giuseppe Sammartini, milanese di nascita, eccellente suonatore di oboe. Oltre a dodici simpatiche sonate a tre composte per due flauti dolce e basso continuo, scrisse un bellissimo Concerto in fa magg. per flauto soprano ed archi. Come abbiamo già detto nel paragrafo precedente, l'uso del flauto dolce soprano fu molto limitato nel 700. In Inghilterra però, esisteva un folto numero di amateurs che, con il solo scopo di divertirsi, amava suonare più strumenti possibili (un fenomeno che si riscontra anche oggi fra i dilettanti dello strumento). Così strumenti meno usati, come il soprano o il "voice flute", lo stesso tenore o il basso, ebbero nell'Inghilterra del XVIII secolo una discreta importanza. Un altro compositore italiano ebbe particolare fortuna in Inghilterra, pur non essendoci mai stato. SI tratta di Arcangelo Corelli, noto violinista e compositore, vissuto a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo. Furono trascritte per flauto dolce, da eminenti maestri, nei primi anni del 700 (tra i quali sicuramente Johann Christian Schickhardt), numerose sue opere, tra cui alcuni Concerti Grossi, Sonate a tre e la celebre opera V; sono in realtà tutte composizioni scritte per violino, ma che appunto in Inghilterra raggiunsero presto un successo proprio nelle versioni per flauto dolce. Forse la più celebre di tutte rimane la trascrizione per questo strumento della famosa Sonata "La Follia" op 5 n. 12
 

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3 Settembre 2019
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L'INGHILTERRA

Tra i compositori italiani e l'Inghilterra, in un modo o nell'altro, vi furono numerosi scambi.
Nel corso del periodo barocco in questa nazione non spiccarono molti compositori di un notevole livello (tranne pochissime eccezioni); resta comunque il fatto che proprio in Inghilterra invece, il flauto dolce trovo nel XVIII secolo forse la sua più amplia e capillare diffusione; le ragioni furono moltissime: da una possibilità di impiego da parte dei dilettanti (sempre numerosissimi in questo Paese), ad una attività editoriale assai favorevole.
Fra i compositori autoctoni spicca il nome di Henry Purcell, musicista di grande sensibilità. Anche egli si interessò ovviamente al flauto dolce. Fu un importantissimo autore di opere (diede il via definitivamente a questo genere in Inghilterra), dove, insieme a molta altra musica sacra, si trova spesso presente questo strumento. Ed è proprio nella sua vasta produzione di masques, di opere e di musiche per cerimonie di corte, che Purcell inserisce alcuni deliziosi brani per flauto dolce, che oggi spesso gli esecutori usano inserire anche in programmi da concerto; questa operazione di estrarre questi piccoli capolavori dal contesto attraverso il quale ci sono arrivati non toglie nulla alla bellezza di queste pagine di musica. È il caso ad esempio , della celebre Ciaccona "Two in one upon a Ground" per 2 flauti e basso continuo, dove il titolo sta a spiegare che le due parti di flauto in realtà sono una sola anche se resa a canone, il tutto su di un basso ostinato, il "ground" della Ciaccona appunto.
Molti altri autori minori inglesi ci hanno lasciato musiche per flauto dolce; fra questi: Daniel Purcell (fratello minore del grande compositore), William Williams, Andrew Parcham, William Croft, Robert Valentine. Ma, in Inghilterra confluirono nel periodo barocco molti musicisti del continente europeo (soprattutto tedeschi, francesi e italiani, come ad esempio Johann Christian Schickhardt, Jacques Paisible e Giovanni Bononcini); e moltissime delle loro opere per flauto dolce (anche composte nella nazione di origine) si stamparono proprio quì. Questo fenomeno ci può far capire quindi, quale importanza e, soprattutto, quale diffusione raggiunse questo strumento nel Regno Unito. Ovviamente sono eseguibili per flauto anche una serie di composizioni non esplicitamente dedicate a questo strumento: è il caso ad esempio, delle molte, e molto belle, Suites a uno o due o più strumenti e basso continuo di Matthew Locke, uno dei compositori inglese più importanti della seconda metà del XVII secolo.
Non abbiamo ancora parlato però della produzione per questo strumento di Georg Friederich Handel; in effetti questo grande compositore nacque in Germania, più precisamente a Halle, nel 1685; ma dopo un viaggio in Italia, all'età di 2 anni conobbe l'Inghilterra e, sia pur continuando a girare per l'Europa, questa divenne la sua patria di adozione, tanto da ottenerne la cittadinanza nel 1727. A Londra fece rappresentare una quarantina di opere, e scrisse più di quindici oratori. Il flauto dolce occupa un posto di rilievo nella produzione musicale handeliana; il suo impiego va dalla musica da camera (come in sonate, trii, cantate ecc) a quella operistica e agli oratori.
Stilisticamente la sua musica è spesso composta tenendo presente l'importanza della linea melodia; in questo senso sfrutta particolarmente le possibilità espressive di questo strumento. Non è quindi un caso che, tranne rare eccezioni, nelle sue composizioni per flauto dolce non scriva mai parti che superino l'estensione della prima ottava e mezza: questo strumento ha un timbro più dolce, più caldo nel registro basso e in quell medio. D'altronde questa è una caratteristica che si trovava particolarmente accentuata negli strumenti costruiti in Inghilterra nella prima metà del XVIII secolo. Artigiani come Paul Bressan o Thomas Stanesby non potevano non tenere conto delle esigenze estetico-musicali dei compositori loro contemporanei. Per flauto dolce e basso continuo Handel ci ha lasciato 4 Sonate pubblicate nell'opera I e 2 Sonate (di cui una in due versioni) in manoscritto (conosciute come "Fitzwilliam Sonatas"). Inoltre è presente anche in due trii (con il violino) e nel I Concerto Grosso op.3 e nel VI Concerto op.4, per organo e orchestra. Ma Handel lo ha spesso messo in partitura sia nelle opere, che negli oratori e nelle cantate, anche se a volte lo si trova impiegato all'interno appunto di un lavoro di vaste dimensioni, soltanto per un'aria o poco più; evidentemente Handel ne sfruttava le caratteristiche timbriche proprio in determinate situazioni sceniche, o per sottolineare particolari riferimenti al testo poetico. Questa parziale utilizzazione era resa possibile dalla consuetudine abbastanza diffusa in Inghilterra, soprattutto in campo operistico, di poter avere nell'organico orchestrale degli oboisti in grado di suonare anche il flauto dolce.
 

Sweety

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3 Settembre 2019
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La GERMANIA:

In Germania questo strumento raggiunse nel periodo barocco una diffusione molto elevata, paragonabile per molti aspetti a quella inglese. Ma, rispetto a quest'ultima ed anche a quella fiamminga, qui mancò l'apporto importantissimo dell'editoria, senz'altro meno sviluppata di quella londinese. Comunque ci è rimasta una vasta letteratura di compositori minori tedeschi, che testimonia senza dubbio che anche qui il numero di dilettanti appassionati di flauto dolce era molto elevato.
Ma a differenza dell'Inghilterra o , soprattutto, dei Paesi Bassi, la Germani produsse nel periodo barocco diversi compositori di elevatissimo livello quali un Telemann o un Bach, e tanti ancora ne esportò proprio ad esempio proprio in Inghilterra (Handel fu solo il caso più famoso).
Comunque anche quella che si definisce letteratura minore è senz'altro di buon livello: si vedano ad esempio i duetti o i trii di Johann Mattheson, importante compositore stilisticamente molto vicino alla musica francese dell'epoca e amico di Handel e Bach. Molto bella anche la Sonata a tre di Johann Joachim Quantz per flauto dolce, flauto traverso e basso continuo (che è tra l'altro uno dei pochissimi esempi di composizione che vede protagonisti insieme i due diversi tipi di flauti).
Ma elencare questa vastissima produzione sarebbe veramente impossibile; si ricordino solo alcuni nomi di compositori: J.F. Fasch, G. Finger, J. Chr. Pepush, J. Chr. Schickhard (trasferitosi però presto in Inghilterra).

Georg Philipp Telemann. Egli fu amico per tutta la vita di Handel (arrivarono addirittura a prestarsi dei temi musicali), ed è stato senz'altro l'autore tedesco più rappresentativo di questo strumento. Egli stesso ne era un abile virtuoso e questo non può passare inosservato ad un attento studio delle sue composizioni. Ogni buon flautista avrà notato che raramente Telemann utilizza una scrittura che impegni l'esecutore ad usare una tecnica trascendentale (come ad esempio quella vivaldiana); il risultato però fa trasparire quasi sempre un estremo virtuosismo: potremmo dire il minimo sforzo per il massimo rendimento.
Altra caratteristica tipica di questo compositore (e, più in generale della produzione tedesca per flauto dolce), era quella di utilizzare soprattutto il registro medio ed acuto dello strumento. Un esempio tipico potrebbe essere il tema che il flauto espone nel primo movimento del Concerto in do Magg, un Allegretto, che si svolge appunto tutto su il registro acuto dello strumento. Eppure Telemann era dotato di un buon senso melodico, di gusto tipicamente italiano, ma preferiva affidarlo soprattutto al registro acuto dello strumento.
Anche questa scelta testimonia la ottima conoscenza che il compositore tedesco aveva del flauto dolce: è proprio nel registro acuto che questo strumento ha la maggiore potenza di voce (pur rimanendo sempre estremamente delicato nel timbro), potenza che diviene necessaria in brani come questo Concerto , dove il flauto è costantemente accompagnato dagli strumenti ad arco.
C'era perfetta simbiosi tra compositori ed artigiani costruttori di questo strumento: i flauti costruiti da un Denner o un Oberlander erano stati concepiti proprio per esprimere le sonorità migliori nei registri medio ed acuto (purtroppo spesso discapito di quello basso); merita di essere menzionato, proprio per la sua splendida bellezza di timbro in tutta l'estensione, un flauto dolce costruito da Schell e conservato al Museo dell'Accademia Filarmonica di Bologna.
Ciò che più colpisce di Telemann, è l'enorme quantità di musica che era riuscito a comporre; quindi anche la produzione per flauto dolce appare interminabile; è presente in quasi tutte le forme musicali che egli esplorò (e furono veramente tante!) : dalle Cantate alle Ouverture; dalle Sonate con basso continuo, ai Soli, dai Trii ai Quartetti ai Concerti e così via; tutta musica estremamente interessante; tanto da rendere praticamente impossibile il compito di entrare un po in dettaglio nella sua produzione.Potrei citare le Fantasie a flauto solo (non scritte però originariamente per flauto dolce, o le Sonate con basso continuo, ai Soli, da Trii ai Quartetti ai Concerti e così via; tutta musica estremamente interessante, tanto da rendere praticamente impossibile il compito di entrare un po in dettaglio nella sua produzione. Potrei citare le Fantasie a flauto solo (non scritte però originariamente per flauto dolce), o le Sonate con basso continuo, anche se personalmente giudico che i risultati più validi Telemann li abbia ottenuti nella musica da camera: molto belli i Trii per flauto dolce, violino e basso continuo, o quelli con l'oboe e i Quartetti (o Quadri come spesso li intitolava) per flauto dolce, violino, oboe e basso continuo o quello famoso, tratto dalla "Tafelmusik", per flauto dolce, 2 flauti traversi e basso continuo.

Johann Sebastian Bach: nel nostro secolo questo compositore ha acquistato una notorietà che purtroppo non ebbe mai in vita (un Telemann fu senza dubbio più conosciuto ed apprezzato di lui). Il flauto dolce appare spesso nelle partiture di Bach. È preferibile dividere la sua produzione in due parti: quella strumentale e quella vocale-sacra.
Iniziando dalla prima, bisogna subito dire che il fiore all'occhiello del repertorio di un buon suonatore di flauto dolce, sono i due Concerti Branderburghesi (il II ed il IV) in cui questo strumento è presente. È senz'altro molto interessante il secondo movimento del II Concerto , un Andante, dove il flauto dialoga intensamente con altri due strumenti solisti, il violino e l'oboe; tace la tromba con l'orchestra quasi a voler creare un momento di delicata riflessione fra il primo e il terzo movimento. Purtroppo molto spesso queste pagine di musica si sentono interpretate da complessi orchestrali che utilizzano il flauto traverso al posto di quello dolce; un fenomeno che poteva essere compreso fino ad una ventina di anni fa, quando ancora non esistevano validi suonatori di questo strumento, ma che appare quantomeno sconcertante oggigiorno. Molto intenso anche l'Andante dal IV Concerto in Sol magg. In questo Concerto i flauti dolce i sono due, ed è proprio in questo movimento che si chiarisce il titolo della composizione dove questi vengono chiamati "Flauti d'echo": difatti in questo movimento rispondono, quasi a voler imitare l'eco, alle frasi proposte da tutto il complesso orchestrale.
Se rimaniamo nell'ambito della produzione strumentale bachiana , questi sono gli unici casi in cui il compositore tedesco utilizza il flauto dolce. Mai comunque come per la sua musica, di si è affidati alla trascrizione: una prassi piuttosto diffusa nel periodo barocco, anche se sempre molto delicata se eseguita oggigiorno; ecco quindi che sono disponibili una grande quantità di composizioni bachiane trascritte per flauto dolce: dalla Partita per flauto solo (originale per traverso), alla Suite per violoncello, dalle Sonate per flauto traverso e clavicembalo concertato, e per flauto traverso e basso contino, a quelle per violino e clavicembalo concertato. È chiaro che si tratta appunto di trascrizioni moderne per il flauto dolce, e che quindi soddisfano senz'altro di più il nostro gusto di poter suonare della musica straordinariamente bella, e quindi l'eventuale divertimento di chi ci ascolta, che non la musicologia, che non vede sempre di buon occhio queste operazioni.
Il flauto dolce è stato comunque utilizzato da Johann Sebastian Bach soprattutto nella sua produzione vocale-sacra. È presente, sia pure in modo limitato, in capolavori quali la passione secondo Matteo, l'Oratorio di Pasqua, il Magnificat (nella prima versione in Mi b maggiore).
Assume invece un ruolo assai più importante in molte Cantate (presente per l'esattezza in ben 22!), dove il compositore tedesco gli affida pagine tra le più significative della musica barocca. La sua presenza risulta determinante ad esempio nella Cantata n. 106 detta Actus Tragicus; dal titolo stesso si può intuire che si tratta di una cantata funebre, dove Bach però parla della morte come evento necessario, quindi positivo, per il passaggio al mondo ultraterreno; e questo concetto egli lo esplica sin dalle prime note della "Sonatina", composta per i soli strumenti, che introduce la cantata vera e propria.
Bach utilizza nell'organico strumentale 2 flauti dolci (oltre a 2 viole da gamba ed il basso continuo), la cui scrittura è quasi sempre all'unisono: un organico che sicuramente sorprende l'ascoltatore per l'effetto timbrico che produce. Spesso Bach utilizza 2 flauti nelle sue Cantate e soprattutto molto spesso usa accoppiarli insieme in un'unica parte all'unisono. È questa una tecnica compositiva molto rara da incontrare nel periodo barocco, ma invece frequente nella sua produzione (si pensi ad esempio all'ultimo movimento, un Presto, del IV Concerto Branderburghese); le difficoltà tecniche di eseguire all'unisono una data melodia si accentuano particolarmente se gli strumenti che devono compiere questa operazione sono solamente due; problemi di intonazione, di articolazione e più in generale di insieme, rendono particolarmente arduo questo compito agli esecutori, sono queste le ragioni principali per cui è raro incontrare brani in cui i 2 flauti debbano eseguire dei passi appunto all'unisono.
Ma Bach, si sa, non prevedeva molto quali e quante potessero essere le difficoltà delle sue composizioni; lui voleva ottenere un effetto timbrico, che peraltro nel caso di cui stiamo parlando è particolarmente bello, e quindi non si preoccupava molto della complessità delle sue richieste tecniche. Meravigliosa è l'aria finale della Cantata n. 13 "Meine Seufzer, meine Tranen", n cui appunto i due flauti cantano una melodia particolarmente struggente. Inoltre, tra le pagine di immensa bellezza, merita di essere citata anche la Cantata n.46 "Schauet doch und sehet" dove il Coro iniziale venne riutilizzato e trascritto da Bach stesso nel "Qui tollis peccata mundi" contenuto nel Gloria della famosa Messa in si min. (dove però al posto dei flauti dolci si trovano due traversi).
Spesso le parti di flauto nelle Cantate pongono seri interrogativi agli studiosi contemporanei. Innanzi tutto Bach spesso utilizzava flauti diversi dal contralto (che ricordo era di gran lunga il più usato nel periodo barocco): in alcuni casi c'è ad esempi la denominazione "Flauto piccolo", ma al di là della denominazione, che anzi spesso non chiarisce molto il tipo di flauto desiderato dall'autore, a volte ci si scontra con gravi problemi di estensione della parte; uno dei casi più evidenti si incontra nella prima versione (quella in sol magg. datata 1714) della Cantata n.182 "Himmelsk" nig, sei wilkommen", dove nell'aria in cui è protagonista appunto il "Flauto solo", ci troviamo di fronte ad una scrittura che prevede un'estensione alquanto strana; in altri casi questa difficoltà la si può superare utilizzando rari strumenti appartenenti comunque alla famiglia del flauto dolce (è il caso ad esempio del soprano in Re da utilizzarsi nel Coro iniziale della Cantata n. 103 Ihr werded weinen und heulen"; ma nel caso citato della Cantata n. 182, l'interrogativo rimane: quale tipo di flauto aveva in mente Bach?
 

Sweety

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3 Settembre 2019
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I PAESI BASSI

Per alcuni aspetti questo strumento ricoprì nei Paesi Bassi un ruolo molto simile a quello che si sviluppò in Inghilterra; ed è proprio dalla regione fiamminga anzi che il flauto dolce ebbe un notevole impulso (a partire dalla metà del 600) verso una diffusione sempre crescente che fece si che agli inizi del XVIII secolo fosse senz'altro uno degli strumenti più in uso in Europa. Anche in questo caso l'editoria favorì una diffusione piuttosto capillare delle musiche composte per il flauto (Amsterdam fu all'epoca un importante centro editoriale nel campo musicale).
Antesignano di questo processo fu senz'altro Jakob van Eyck, un compositore fiammingo, purtroppo menomato della vita, e campanaro di professione (in Olanda il culto delle campane risale a molti secoli fa). Di lui, che quindi potremmo definire un dilettante di flauto, ci rimane una raccolta importantissima di temi popolari e colti dell'epoca, con aggiunte serie di variazioni composte da lui stesso su ogni tema presentato. Il titolo di questa raccolta pubblicata a Amsterdam è "Der Fluyten Lust-hof" (di cui il primo volume uscì, in seconda edizione ampliata, nel 1649, e il secondo nel 1646).
Famosissime rimangono le variazioni sulla "Pavana Lachrimae" (tema di John Dowland, liutista e compositore alla corte della regina Elisabetta), o quelle su "Den Nachtgael" (l'Usignolo), tema di anonimo. Nella prefazione alla raccolta van Eyck stesso consiglia di usare per l'esecuzione delle sue composizioni il flauto soprano in do. Ma riguardo alle peculiarità precise di questo strumento, in un momento così delicato come quello del passaggio dal flauto rinascimentale a quello barocco, ancora gli studiosi sono a livello di ipotesi.
Solo poche sono le certezze: doveva essere comunque un flauto molto importante dal punto di vista costruttivo, perchè analizzando le composizioni a lui destinate doveva riassumere molte delle caratteristiche sonore del flauto rinascimentale, ma al tempo stesso doveva avere una diteggiatura praticamente identica a quella del nascente flauto barocco. Cose queste non facili da riunire in un solo strumento.
Gli studiosi appunto stanno conducendo molte ricerche su questo tipo di flauto, proprio perchè sembra essere l'unica testimonianza, o se preferite, l'anello di congiunzione, tra il flauto rinascimentale e il flauto barocco. Ma oltre a van Eyck moltissimi altri compositori minori dei Paesi Bassi scrissero per flauto dolce, tenendo ben presente, e questo lo si intuisce dal carattere delle composizioni, che si rivolgevano principalmente ad un pubblico di amateurs.
A conferma di quanta importanza ebbe il flauto dolce nelle Fiandre, si ricorda che quì sviluppò una delle famiglie più importanti di costruttori di questo strumento: i Rottenburgh. Ma l'Olanda, molto più che all'Inghilterra, mancarono personalità di rilievo che facessero si che il flauto dolce potesse assumere un'importanza che andasse al di l di un semplice strumento per dilettanti.
 

Sweety

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3 Settembre 2019
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Con la metà del XVIII secolo si chiude un ciclo della lunga storia degli strumenti; nel giro di poche decine d'anni strumenti quali la viola da gamba, il liuto, il clavicembalo e il flauto dolce, scompaiono dalla scena musicale europea. In effetti già a partire dal secondo quarto del XVIII secolo, si iniziano a verificare una serie di fatti che ora possono senz'altro essere compresi come primi fenomeni del processo di decadenza del flauto dolce.
Un discreto numero di composizioni originariamente destinate al nostro strumento, vengono ristampate per flauto traverso. È il caso delle Sonate di Benedetto Marcello, o di alcuni Concerti on archi di Antonio Vivaldi che in una prima stesura (rimastaci in forma manoscritta) hanno come strumento solista appunto il flauto dolce (famosi ad esempio sono il Concerto in Fa magg. "La Tempesta di mare" o quello in sol min. "La Notte").
Anche lo stesso Bach (considerato dai suoi contemporanei un conservatore) al flauto dolce preferì successivamente il flauto traverso, senz'altro più di moda (si vedano ad esempio le due versioni del Magnificat, o il già citato caso della Cantata n.46 e della sua trascrizione in un versetto del Gloria della Messa in si minore). Ma questi sono ovviamente soltanto gli esempi più illustri.

Questi sono i motivi del rapido declino del flauto dolce:
Innanzitutto va detto che il concetto, purtroppo ancora abbastanza diffuso, che il flauto traverso prese il posto di quello dolce, ad esempio perchè più sonoro e quindi in grado di entrare nelle orchestre, è decisamente errato; primo perchè il flauto traverso, così come era concepito e costruito negli ultimi anni del XVIII secolo, non era affatto più sonoro di quello diritto, casomai proprio il contrario;
secondo perchè oramai da millenni i due strumenti coesistevano, ognuno con le proprie caratteristiche così diverse tanto che appunto l'uno non poteva sostituire degnamente l'altro.
La musica del periodo classico e romantico aveva bisogno di strumenti che potessero esprimersi bene in sonorità differenti, dal piano al forte, dal registro basso a quello acuto: tutto questo lo strumento flauto dolce non poteva offrirlo. Così con il passare alla seconda metà del XVIII secolo, si verificò il declino totale (fatte salve alcune rarissime eccezioni, comunque di scarsissimo interesse) del flauto dolce.