La storia del flauto dolce: dalle origini al Medioevo

Sweety

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3 Settembre 2019
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Il flauto: sotto questo nome, sicuramente molto conosciuto, sono compresi, in effetti, molti strumenti, a volte profondamente diversi tra loro. Si possono comunque dividere in due famiglie: quella di cui oggigiorno è conosciuto rappresentante il flauto traverso, e quella ben piu vasta, ma non altrettanto nota, a cui appartiene il flauto dolce o diritto. Chiamiamo più semplicemente flauto nell'epoca rinascimentale e barocca (data la sua maggiore notorietà rispetto a quello traverso), oggi è conosciuto in Inghilterra con il nome di recorder in germania di "blockflote", in Francia di "flute a bec" e così via.
Ma vediamo perchè il suono di questi due strumenti, il flauto dolce e il flauto traverso, è così diverso. Innanzitutto oggigiorno il materiale di costruzione non è lo stesso: il legno per il flauto dolce, il metallo (spesso una lega in cui è presente l'argento) per il traverso.
Ma la differenza sostanziale è nella produzione del suono. Soffermiamoci su quella del flauto dolce. Lo strumento inizia con un becco (questo è il termine tecnico) che può vagamente ricordare un fischietto: lo strumento viene cioè tenuto fra le labbra e l'esecutore vi soffia dentro esattamente come si fa con il fischietto; alla fine quindi di uno stretto passaggio, ricavato nel legno, l'aria va ad infrangersi contro una linguetta; fino a qui l'analogia con un comune fischietto è quindi evidente. Questa linguetta non fa altro che spezzare l'aria e permettere il formarsi di onde sonore, le quali sono convogliate, percorrendolo più o meno, dentro il corpo (un tubo di forma solitamente conica) dello strumento; il più o meno, dipende esattamente da quanto noi, suonando, rendiamo lungo lo strumento, aprendo o chiudendo i fori con le dita di entrambe le mani. Uno strumento quindi apparentemente semplice, ma in grado di affrontare pagine assai complesse significative della storia della musica.

La semplicità comunque, con cui si può produrre un suono è diversamente uno dei motivi principali per cui, come afferma lo studioso di strumenti musicali, Kurt Sachs, i flauti "a becco" o "a fischietto" sono ri origine antichissima, precedendo di gran lunga quelli traversi e addirittura gli strumenti a percussione. Questi antenati del flauto dolce erano sicuramente senza fori, in grado quindi di produrre pochissimi suoni grazie agli armonici, si costruivano con i materiali più disparati (come ossa animali, canne etcc.) , e venivano usati per lo più come richiami per la caccia. Con il passare dei secoli si cominciarono a praticare, lungo il tubo, alcuni fori, nel numero massimo di quattro: eco quindi che lo strumento era già in grado di suonare le prime melodie, accompagnando spesso il canto.
Con il fiorire delle varie civiltà. fu molto in uso fra gli arabi e i persiani; non lo trovò invece molta fortuna nella civiltà greca e nell'antica Roma. L'"aulos" greco, corrispondente alla tibia romana, era sì un flaut, ma le cui onde sonore erano generate dalle vibrazioni di una sottilissima ancia, ricavata dallo strumento stesso (un esempio simile ancora oggi vivente sono le "launeddas" della Sardegna). Quindi non possiamo affermare che questi due strumenti appartenevano alla famiglia dei flauti dolci. Esistevano comunque nella Roma imperiale dei flauti a becco, che arrivarono ad avere fino a quindi fori (dei quali alcuni si chiudevano evidentemente con meccanismi a chiave, non molto diversi dal moderno flauto traverso).
È d'obbligo a questo punto (vedendo come già quasi duemila anni fa si costruivano degli strumenti così complessi), esprimere un concetto fondamentale dalla moderna organologia (la siceza che studia la storia degli strumenti): la forma e la struttura di uno strumento subiscono spesso dei cambiamenti nel corso dei secoli, che sono il frutto di precise esigenze estetico-musicali proprie di ciascuna epoca; e non bisogna interpretare questi cambiamenti, come troppo spesso si fa, unicamente come miglioramento di un precedente: non sarebbe possibile pensare d'altronde che civiltà così raffinate ed evolute (tali da produrre capolavori, ancora oggi insuperati, come una Venere di MIlo o un Pantheon) non conoscessero tecnicamente come costruire una chiave di strumento, o come fondere una lega con dell'argento; ogni epoca ha scelto i suoi strumenti, i suoi suoni.
Purtroppo ci sono rimasti pochi frammenti di musica che appartengono a periodi così lontani nel tempo. La maggior parte di essi sono di musica greca. Ma risulta praticamente impossibile coglierne una qualsiasi destinazione strumentale. Quindi sarebbe totalmente fuori luogo parlare di una letteratura specifica per il flauto perlomeno fino al Medioevo.
Nel Medioevo il flauto conserva forme e strutture ancora simili a quelle primitive; costruito per lo più con ossa animali o canne, aveva dai tre ai sei-sette fori; era utilizzato ad esempio per accompagnare il canto, oppure risultava particolarmente utile per eseguire improvvisazioni, cui la musica medievale lasciava ampi spazi. Il flauto dolce veniva usato particolarmente per accompagnare le danze, spesso insieme a molti altri strumenti (l'iconografia dell'epoca ne dà ampia testimonianza). Per quanto riguarda una specificità maggiore nella letteratura dal periodo medioevale, questa risulta praticamente impossibile da determinare, perlomeno con la documentazione, non certo abbondante, che ci è giunta sino a noi.
A questo punto per chiarezza e completezza informazioni, bisogna esprimere alcune nozioni basilari, per quell'epoca, di letteratura per uno strumento specifico e addirittura di letteratura vocale o strumentale.
Fino al Rinascimento si può notare una scarsa destinazione specificatamente strumentale delle composizioni, ossia, rivoltando il discorso, esisteva una tradizione consolidata nell'usare gli strumenti anche e soprattutto in brani con testo, brani che noi, forse in modo un po restrittivo, usiamo chiamare "vocali". Ma quali strumenti si usavano? Ossia erano indicati dagli autori, o per lo meno consigliati, gli strumenti da utilizzare per un determinato brano? Ovviamente no (tranne rare eccezioni); ed era chiaro che spettava all'esecutore decidere e sceglierne la strumentazione migliore: diciamo che questa scelta rientrava nei compiti interpretativi dell'esecutore. Ecco quindi che non ci dobbiamo meravigliare se fino al '500 non troviamo brani scritti per flauto dolce; non era necessario per i compositori di allora destinare una composizione specificatamente a questo o quello strumento.
Con la metà del 1300 si iniziò ad apportare al flauto dolce una serie di modifiche che lo porteranno, nel giro di un centinaio d'anni, ad assumere per la prima volta nella sua storia una forma abbastanza standardizzata: quella rinascimentale.
Il suono diviene più delicato e dolce, grazie all'uso, come materiale di costruzione, del legno (soprattutto il pero e l'acero); il numero dei fori si stabilizza in otto (e non cambierà più), permettendo il poter suonare qualsiasi melodia, anche la più difficile.