La musica Jazz con il flauto

JazzyFlute

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11 Settembre 2019
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Riporto un interessante articolo di Stefano Benini riguardante il Flauto Jazz. È una lettura che consiglio per chi vuole introdursi a questo magico mondo. Nella speranza che sia stimolo di ulteriore discussione tra i membri di questo forum.

La presenza del flauto nel jazz tradizionale è piuttosto rara; esso infatti entrerà tardi nell'organico strumentale jazzistico svolgendo per anni un ruolo
secondario, se non marginale.
Tutto questo dà origine ad una contraddizione: uno degli strumenti più antichi del mondo è rimasto per diverso tempo escluso da una musica di ampio retaggio folkloristico come quella Afro-Americana. I motivi di questa tardiva presenza, con addirittura un recupero recente delle radici etniche dello strumento, sono molto solidi. Per prima cosa, nella musica dell'Africa Occidentale, il flauto, rispetto agli strumenti a percussione ed ai cordofoni, ha avuto una presenza ed un uso minori, per cui un flauto "etnico" (nella musica etnica hanno sempre trovato largo impiego vari tipi di flauti) in un organico di jazz tradizionale era incompatibile con i motivi che hanno fatto nascere questa musica, basata sulla strumentazione per bande militari e su sonorità accese.
La debole sonorità lo avrebbe reso inascoltabile, del tutto fuori luogo. Il problema della non forte sonorità dello strumento fu risolto solo in tempi abbastanza recenti apportandovi innovazioni nel modo di suonarlo (Most e Kirk) e con l'ausilio dell'amplificazione. Tutto ciò vale anche per il flauto di tipo Boehm che era evidentemente fuori dalla portata dei neri per la sua collocazione esclusivamente accademica. Come le regole ammettono delle eccezioni, così anche nella storia del jazz esistono importanti presenze di flautisti arcaici e tradizionali.
Sidney Lanier, che già nella seconda metà del secolo scorso (1842 1881) era considerato un abile improvvisatore e compositore, alternava serate nei locali Newyorchesi a esperienze orchestrali. Nato a Macon, Georgia, è considerato il primo virtuoso flautista americano.
Clemente Barone, che nel 1914 suonò il flauto nella band ragtime del trombonista Arthur Pryor, e Bertin Depestre Salnave, che nel 1922 suonò il flauto nel sestetto di Arthur Briggs.
Nel 1927 il diciannovenne cubano Alberto Socarras nato il 19 settembre 1908 a Manzanillo (Cuba) e morto nel 1988 (notizia raccolta nella comunità cubana a New York), figlio d'arte (la madre era una chitarrista), dopo varie esperienze musicali, all'età di diciotto anni si trasferisce a New York dove, pur non conoscendo la lingua, riesce a farsi conoscere e ad imporsi nel non facile ambiente newyorchese. Per una serie dicircostanze fortuite si trovò in uno spettacolo radiofonico ad accompagnare con il flauto la cantante Eva Taylor, moglie del famoso Clarence Williams, che lo ingaggiò nella sua sezione di sax. In quel periodo un musicista di sezione aveva l'obbligo di saper suonare il clarinetto come secondo strumento e Socarras si trovò agevolato perché oltre ad essere clarinettista era anche un flautista . La sonorità del flauto piacque a Clarence che decise di usarla in alcune occasioni e così Socarras si trovò ad essere il primo a registrare nel 1927 un
solo di flauto per l'orchestra di Clarence Williams; il brano in questione fu "Shootin'the Pistol": ilsolo, di 24 misure, fu suonato nelle ottave medio alte, con una freschezza e un linguaggio nuovi per il periodo; pur restando conforme ai canoni musicali della sua epoca privilegiando un tipo di improvvisazione più verticale che orizzontale, cioè basata più sull'arpeggio che sulla scala, ha il pregio di non richiamare lo stile del clarinetto, imperante in quel periodo.
 
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Socarras registrò altri soli tra cui ricordiamo "Have You Ever Felt That Way", registrato sempre per l'orchestra di Clarence Williams nel 1929, con il quartetto della cantante Lizzie Miles, nel brano "You're such a cruel Papa" nel 1928, "High Society Blues" nel 1930 e sempre nello stesso anno registrò per Bennett's Swamplanders nel brano "You can't be mine". In quest'ultimo Socarras esegue un'introduzione con il flauto improvvisando poi per due chorus di 16+16 misure fino a continuare l'improvvisazione anche sul tema cantato. È questo un elemento indicativo degli spazi conquistati dal flauto in alcune formazioni degli anni trenta. Alberto Socarras suonava anche sassofono e clarinetto e questo ruolo di coabitazione con la famiglia delle ance è stata la caratteristica più evidente del flauto jazz; bisognerà aspettare gli anni Cinquanta per trovare il primo flautista che vi si dedica in modo esclusivo.
Nel 1928 troviamo Norvel Morton che suonò nella big band di Fess Williams. Sempre negli anni venti nell'orchestra da ballo del musicista bianco Paul Whiteman c'erano i flautisti Max Farley, Hal McLean, Vincente Capone, Jack Bell, Roy Mayer.
Dal 1930 al 1942 Walter Thomas suonò il flauto con Cab Calloway.
Fin dall'inizio del nuovo decennio si fa notare subito la presenza di Wayman Carver Alexander.
Anche se è inesatto considerarlo, come molti hanno fatto, il primo solista di flauto jazz, Carver ha comunque il merito di aver registrato innumerevoli soli negli anni trenta, e ciò ha portato un contributo notevole alla divulgazione dello strumento. Il suo fraseggio era fluido e sicuro anche se tradiva un'evidente filiazione stilistica dai clarinetti. Nato nel 1905 a Portsmouth (Viriginia), Carver fu incoraggiato allo studio dello strumento dallo zio, che suonava il flauto nella banda municipale. Dopo essersi esibito in formazioni locali ed aver formato una sua orchestra, nel 1931 si trasferi a New York scritturato nella big band del trombonista Dave Nelson, il nipote di King Oliver. Con questa formazione che comprendeva solisti come Buster Bailey e Wilbur De Paris, incise i primi dischi per la Victor e il suo strumento emerse nelle 16 misure di solo eseguite nel brano "Careless Love" del 1931. Negli anni successivi incise ancora con le orchestre del chitarrista banjoista Elmer Snowden e del contrabbassista Spike Hugues (assoli nei brani "How Come You Do Me Like You Do?", "Sweet Sue", "Firebird", "Arabesque" del 1933) e di Benny Carter. Con quest'ultima formazione ebbe modo di emergere nel brano "Devil's Holiday" (1933) che è stato erroneamente considerato il primo assolo di flauto jazz. La sua consacrazione definitiva come flautista avvenne nell'orchestra di Chick Webb, nella quale restò dal 1934 al 1940. Successivamente Carver si ritirò dalla scena musicale dedicandosi all'arrangiamento e all'insegnamento presso il Clark College di Atlanta, dove lavorò fino alla sua morte (6/5/1967).
Nel 1937 Eddie Powell suonò il flauto nel gruppo del pianista e arrangiatore Claude Thornhill e nel 1939 il direttore d'orchestra Jimmie Lunceford duettò al flauto con Ted Buckner nel brano "Liza".
Negli anni Quaranta, il musicista che traghetterà il flauto alla definitiva affermazione e al suo uso quasi popolare nel jazz fu Harry Klee, musicista largamente ignorato anche dai critici e dagli storici più attenti. Nato a Washington D.C. nel 1921, ha lavorato per molti anni negli studios di Los Angeles registrando a fianco dei grandi nomi del jazz. Suonò tra l'altro con le orchestre di Harry James, Nelson Riddle, Ray Linn. I suoi assoli e particolarmente quello in "Caravan", registrato nel 1946 con l'orchestra di Ray Linn, lo collocano per concezione melodica, articolazione di fraseggio e volume sonoro vicino ai flautisti degli anni Cinquanta. Sia Sam Most che Herbie Mann hanno espresso ammirazione per Klee, e Buddy Collette lo ha indicato tra i suoi flautisti preferiti.

L'uso sempre maggiore del flauto inizia alla fine degli anni Quaranta, quando per merito di nuovi arrangiatori fu inserito sempre più nelle orchestrazioni e nei lavori negli studios. L'esigenza di nuove sonorità e di impasti timbrici favori il flauto, aumentandone la popolarità, anche a scapito di altri strumenti come il clarinetto.
Mitchell Larry, un insegnante di clarinetto di quel periodo disse: "Prima volevano tutti suonare il clarinetto, successivamente non lo volle più nessuno, tutti volevano suonare il flauto". Buddy Collette disse:" Trovare una parte di flauto era raro, poi nei primi anni Cinquanta, divenne sempre più frequente fino a trovare intere sezioni". Harry Klee disse: "Nei primi anni Cinquanta si iniziò a suonare il flauto. In breve tempo divenne cosi richiesto che se volevi lavorare negli studios dovevi saper suonare almeno un poco il flauto". Suonare il flauto divenne un modo per aver più possibilità di lavoro. Interessante è vedere come venne "accolto" il flauto dal pubblico nelle due opposte coste americane. Collette mi disse "Al pubblico piaceva molto e mi chiedevano di suonarlo spesso", Herbie mi disse "Ai musicisti e al pubblico non piaceva quando suonavo, il batterista suonava più forte, il flauto non aveva un retroterra, era uno strumento troppo nuovo". Ben diversa fu la situazione dei musicisti alla fine degli anni Cinquanta, inizio dei Sessanta. La loro scelta fu dettata quasi esclusivamente dal fine di ampliare la loro gamma di suoni, vedi Kirk, River, Dolphy, anche se quest'ultimo iniziò a suonare il flauto per poter lavorare con il quintetto di Hamilton (sostituendo Collette). All'inizio degli anni Cinquanta Jerome Richardson suonò con Earl Hines, e Lionel Hampton con quest'ultimo si mise in luce al flauto nel brano "There Will never be Another You" del 1950, dove espone il tema, e ancora nel 1951 in "Kingfish" con 12 misure di solo. Richardson dalla metà di quel decennio fino agli ultimi anni Sessanta ha guidato propri organici e collaborato con piccole e grandi formazioni (da Chico Hamilton a Thad Jones-Mel Lewis). Il suo flauto evidenzia un suono teso e un fraseggio ricercato e fu anche il primo jazzista a eseguire un solo di ottavino (in "Hi-fi Suite" del 1956).
 
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Nei primi anni Cinquanta il flauto trovò un suo ruolo nell'orchestra di Count Basie per merito di Frank Wess. Nato nel 1922 a Kansas City, aveva iniziato l'attività professionale come sax contralto e poi tenore (con le orchestre di Blanche Calloway e Billy Eckstine), ma dal 1949 iniziò a dedicarsi sempre più al flauto, imponendosi dal 1953 al 1964 nell'orchestra di Count Basie. Il suo timbro era limpido e il fraseggio particolarmente vivo e trascinante, ricco di un intenso swing. Wess restò con Basie fino al 1964 (seguito nel 1962 da Eric Dixon). L'impiego che l'orchestra di Basie fece del flauto aumentò con il passare degli anni. Al di là delle singole personalità, la bravura dei musicisti di questa big band consisteva nella capacità di esprimersi in tempi ridotti in un chorus e, talvolta, anche in meno (8 misure), riuscendo a suonare con gusto ineccepibile. I soli di flauto di Frank Wess sono presenti in tutta la discografia di Count Basie dal '54 al '63. Ne ricordiamo due: in "Perdido", registrato dal vivo a Stoccolma il 15-3-54, che segnò il debutto di Wess al flauto con l'orchestra e nel brano "Cute" del 1958. Citiamo anche alcuni Savoy incisi tra il 1956 e il 1957: "Opus in Swing " , "Trombone & Flute," dove Wess suona esclusivamente il flauto e ancora "Jazz for playboy" e "Nord, South, East ...Wess". A questi aggiungiamo il più recente "Flute Juice" del 1981.
Eric Dixon, che si esibiva spesso al flauto, può essere apprezzato come solista nel disco "Front Burner" o nelle composizioni e negli arrangiamenti scritti da Sam Nistico per l'orchestra di Basie, che in alcuni brani utilizzava addirittura tre flauti, come in "Midnight Freight" del disco Basie Big Band (Pablo): in quell'occasione i tre flautisti furono Eric Dixon, Bobby Plater e Danny Turner. Wess e Dixon, inoltre, si possono ascoltare insieme nel disco Basie And The Kansas City 7 del 1962, nel brano composto da Wess, "Senator White Head" (Dixon al flauto in Do e Wess al flauto contralto) e nel brano "Whatcha talkin'?" (entrambi al flauto in Do).

Ma restiamo ai primi anni Cinquanta, spostandoci solo nell'altra costa degli States. Parallelamente all'approccio sistematico di Frank Wess, il flauto raggiunse una posizione centrale nell'ambito del cosidetto West Coast Jazz. Alla ricerca di un approccio meno espressionista del be-bop, e animati spesso da una sensibilità e un retroterra accademico, i musicisti californiani trovarono nel flauto (più che in altri strumenti jazzisticamente anomali come il violoncello, l'oboe o il corno) un mezzo di espressione privilegiato. Bud Shank e Buddy Collette furono i primi a dedicarsi con passione al flauto diventando due protagonisti di primo piano. Il primo aveva imbracciato lo strumento già nel 1947, all'età di ventun anni, quando suonava nell'orchestra di Charlie Barnet. Passato poi con Stan Kenton, si distinse nel 1950 con un lungo e pregevole assolo (tre chorus di sedici misure ciascuno) nel brano "In Veradero" nel dicembre 1953 varò nel celebre Club Lighthouse un duo flauto-oboe assieme a Bob Cooper; in febbraio la formazione si ampliò con una sezione ritmica e incise un album da dieci pollici (poi ripubblicato in "Oboe-flute", Contemporary) che ottenne un grande successo Bud Shank si distinse come solista particolarmente melodico e ricercato, attento alla scelta delle note: fino alla fine del decennio registrò vari dischi alternando il flauto al sax contralto, tra cui due nel 1958 con il chitarrista Laurindo Almeida che sono già preludio alla bossa nova. Come Bud Shank, anche Buddy Collette iniziò come sassofonista, per poi passare prevalentemente al flauto. Iniziò nel 1951 attratto da un solo di Julius Baker. Perfezionò la sua tecnica al conservatorio di Los Angeles, fece esperienza con orchestre di studio e nell'agosto del 1955 caratterizzò col suono caldo e melodioso del suo nuovo strumento il disco d'esordio del quintetto di Chico Hamilton (Spectacular); quell'album ottenne un successo clamoroso e contribui a rendere popolare il flauto in ambito jazzistico. Negli anni successivi ritroviamo la raffinata eloquenza di Collette in "Man Of Many Parts" e "Tanganika" (entrambi del 1956) e poi in formazioni che inauguravano delle "front line" di soli flautisti: citiamo ad esempio gli album "Herbie Mann-Buddy Collette" del 1957 (noto anche come "Flute Fraternity") e i due "Swinging Sheperds" con Collette, Paul Horn, Harry Klee e Bud Shank, registrati tra il 1958 e il 1959. In quest'ultimo anno venne inciso un disco analogo nella East Coast, un Riverside a nome del pianista Billy Taylor intitolato "Billy Taylor With Four Flutes": i principali flautisti erano Frank Wess, Herbie Mann e Jerome Richardson che si avvicendavano con altri in una formazione a quattro voci. Se gli "Swinging Sheperds" di Collette erano più ricercati timbricamente (usavano anche i flauti basso e contralto), Wess e compagni si limitavano agli strumenti in Do, lasciando però più spazio ai solisti.

Nella seconda metà degli anni Cinquanta il flauto entrava definitivamente negli organici delle orchestre jazz e veniva ampiamente utilizzato per creare nuove sonorità. Esemplare in questo senso, anche se oggi è poco ricordato, fu il lavoro dell'orchestra di Buddy Rich: nell'album "This One's For Basie", l'esposizione del tema "Blue and Sentimental", affidata a Buddy Collette, viene armonizzata dalle trombe con sordina (che entrano dopo otto misure) creando un suggestivo impasto sonoro. Un altro esempio si trova nel brano "Jump from me", dove Collette esegue un solo contrappuntato dal "background" delle trombe e dei tromboni con sordina. Ben più nota e giustamente celebrata è l'opera di Gil Evans che utilizzò ampiamente i flauti nella collaborazione con Miles Davis (vedi il brano "Summertime", incluso nell'album di Miles Davis "Porgy and Bess", Columbia 1274 del 1958). Un altro esempio si trova nel disco "The individualism of Gil Evans", del 1963/64, dove l'uso dei flauti (flauto e flauto basso) è determinante nella costruzione sonora dell'arrangiamento (Barbara Song). Altri esempi di impasti timbrici si possono trovare nel brano "Flute song", suonato dal flautista AI Block, dove la linea melodica è sorretta sapientemente dalla sezione armonizzata dalle trombe. Gli anni Cinquanta rappresentarono dunque per il flauto il periodo della definitiva affermazione nel jazz, cosa che andò di pari passo con la sua evoluzione espressiva.
 
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In seguito al proliferare di musicisti che in quel periodo iniziarono a suonare il flauto, e all'impiego sempre maggiore di questo strumento nel jazz, la rivista specializzata "Down Beat" indisse nel 1956 il "Down Beat Best Flutist Award".dal 1936 al 1955 il premio per la categoria "miglior flautista" non era previsto".

Il sondaggio nel 1959 fu esteso anche ai critici . Ecco le due classifiche fino ai giorni nostri:

Down Beat Jazz Magazine (classifica votata dai lettori)

1956 Bud Shank

1957-1970 Herbie Mann

1971-1980 Hubert Laws

1983-2000 James Newton

Down Beat Jazz Magazine Annual Critics Poll Winners.

1959-1964 Frank Wess

1965-1966 Roland Kirk

1967-1974 James Moody

1975-1978 Hubert Laws

1979 Sam River

1980-1981 Lew Tabachin

1982-2000 James Newton
 
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È vero che il flauto fu soprattutto usato in un ruolo coloristico favorito dalle esigenze degli arrangiatori, ma in un ambito meno visibile, e a tutt'oggi misconosciuto, operavano alcuni solisti che posero le basi per una vera identità strumentale, caratterizzandolo e personalizzandolo a tal punto da influenzare e stimolare i musicisti che seguirono. Una delle cause che contribuivano a relegare spesso il flauto ad un uso orchestrale, o comunque ad un ruolo secondario, era la mancanza di spessore timbrico dello strumento. II problema fu in parte risolto dal flautista Sam Most che, inventando il "suono parlato" (consiste nel soffiare e cantare contemporaneamente nel flauto la melodia suonata), aprì nuove possibilità all'uso dello strumento. Most mi raccontò come nacque il "suono parlato". In pratica, per motivi contingenti, abitava in quel periodo in un condominio e gli orari per poter studiare erano ridotti. Così, per poter suonare più a lungo si chiudeva nell'armadio a muro cercando di suonare a basso volume e si accorse che per non far rumore, invece di suonare nel flauto, ci cantava dentro; da li allo sviluppo della tecnica il passo fu breve. Il primo esempio di questa tecnica lo si trova nel brano "I hear a Rhapsody", registrato il 29 dicembre 1953 e incluso nell'antologico Xanadu 172. Nato ad Atlantic City nel 1930 Most lavorò nel 1948/49 con Tommy Dorsey, con il quintetto di Buddy Rich dal 1959 al 1961; dal 1952 al 1957 diresse propri gruppi incidendo album che attendono una ristampa in CD, come "The Amazing M.R Sam Most", dove suona accompagnato dall'orchestra o "Sam Most Sexstet" sempre del 1957, dove Most suona il flauto in una facciata del disco, mentre nell'altra è al clarinetto. Fin dal 10 giugno del 1952, data in cui Most ha inciso per la prima volta su un Prestige da 7 pollici "Under-current Blues", si nota subito una spiccata personalità, con uno stile dalla forte carica emotiva, che associa un ricco senso dello swing ad una tecnica di prim'ordine. A mio avviso "Undercurrent Blues" segna il passaggio a un modo più "moderno" di suonare il flauto; per moderno intendo una concezione più orizzontale dell'improvvisazione, basata più sulle scale che sugli arpeggi.
Coetaneo di Most, Herbie Mann è ,il flautista a cui va il merito di aver reso popolare lo strumento oltre l'ambito della musica classica. Dopo gli studi di clarinetto iniziò a suonare il flauto nel gruppo del fisarmonicista olandese Mat Mathews nel 1953 e da li in avanti prese a dedicarsi con crescente attenzione al flauto. Mi raccontò che, quando venne ingaggiato per suonare nel gruppo di Mathews, per acquisire un linguaggio al flauto andò a casa e ascoltò cinquanta volte di seguito "Undercurrent Blues". Incise il suo primo disco al flauto per l'etichetta Bethlehem nel 1954 dal titolo "East Cost jazz", seguito dal L.P. "Flamingo" del 1955 e dal disco con Most dal titolo "Herbie Mann quintet with Sam Most", sempre del 1955, evidenziando una profonda conoscenza dello strumento e del linguaggio bop che, uniti ad un personate modo di strutturare i soli, l'hanno reso uno dei flautisti più importanti degli anni Cinquanta e Sessanta. Lavorò e incise nelle due coste degli Stati Uniti, ad Ovest con Buddy Collette e Laurindo Almeida, a est con Phil Woods, Art Blakey e vari musicisti latini. Fu il primo a registrare un disco per solo flauto, "Mann Alone", del 1957. Nei primi anni Sessanta, poco dopo aver registrato l'elegante "Nirvana" col trio di Bill Evans, subì il fascino della bossa nova e poi di musiche sempre più legate al rock, entrando in un'ottica commerciale. In quel periodo Mann si divertì a duettare con i supi colleghi più importanti: dopo il già citato disco con Sam Most nel 1955, registrò con Frank Wess, con Buddy Collette e con il belga Bobby Jaspar. Quest'ultimo si divideva tra Europa e Stati Uniti; fu l'unico europeo in quel periodo a suonare il flauto ad alti livelli (ricordiamo il disco "Flute Souffle" Prestige 1957, con Herbie Mann), con un linguaggio bop ma personale nel fraseggio e nello stile. Altri musicisti di spicco degli anni Cinquanta furono: Bill Perkins, nel pregevole duetto di flauti con Bud Shank nel brano "Fluted columns", del 1955; Yusef Lateef, polistrumentista, il cui vero nome è William Evans. Questi, convertendosi alla religione islamica, prese a studiare musiche folkloristiche di origine afroasiatica introducendo nei suoi gruppi influenze etniche, impiegando diversi tipi di flauto come il flauto cinese, il flauto arabo "Nai" e il flauto "Ma Ma", da lui stesso inventato; Paul Horn che sostitui Buddy Collette nel quintetto di Hamilton e che in seguito, divenuto maestro di meditazione trascendentale, cercò di trovare un punto di accordo tra la sua musica e quella indiana; James Moody, raffinato e originale nel fraseggio e, a tutt'oggi, uno dei più validi flautisti; Leo Wright, che suonò con Mingus e con Gillespie dal '59 al'63. Fra gli altri musicisti che suonarono il flauto in quel periodo desidero citare: Gigi Gryce, Hal McKusick, Anthony Ortega, Sahib Shihab, James Clay, Seldon Powell, Moe Koffman, Les Spann, Sadao Watanabe e il belga Jacques Pelzer.
 
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Il messaggio di Sam Most fu colto e ampliato, superando cosi il problema della fragile sonorità del flauto, da Roland Kirk che, pur riconoscendogli il ruoto di strumento melodico, enfatizzò il "suono parlato": egli portò il parlato all'esasperazione, dando vita alla nuova tecnica dell"'ultrasoffio". La sua intensità ossessiva, la sua carica esplosiva e il suo feeling diedero al flauto una specifica impronta stilistica. Kirk modifico il suono dello strumento aggiungendo al normale soffio nell'imboccatura grida, bisbigli, mormorii, soffi. e contrappuntando a volte la linea melodica. 'Per la prima volta in modo cosi completo, il flauto superava la sua dimensione accademica per esprimere pienamente l'estetica afroamericana, fondata sulla personalizzazione del suono' e del fraseggio. Nel 1960, periodo in cui Roland Kirk iniziava a farsi conoscere presso il grande pubblico, grazie alla scrittura con Mingus, un amico californiano di questi, il polistrumentista Eric Dolphy Lo raggiugeva a New York. L'importanza di Eric Dolphy nell'evoluzione del jazz contemporaneo è ben nota ed anche il suo valore come flautista è stato adeguatamente valutato, facendolo considerare come il massimo esponente nella storia del flauto jazz; in questo strumento raggiunse l'espressione più compiuta della sua ricerca afroamericana "colta". Artista dotato di un ricco retroterra accademico, Dolphy fu incentivato a suonare il flauto da Buddy Collette ma, a differenza di questi e altri flautisti californiani, usò le conoscenze accademiche per spingere la sua musica verso nuove frontiere, soprattutto armoniche e ritmiche. In sintonia con le concezioni del free jazz, che in quel momento si stavano formando, Dolphy si può considerare punto d'arrivo delle precedenti esperienze e punto di partenza per la musica successiva. Gli aspetti timbrici del flauto non furono trascurati da Dolphy ma la sua ricerca in questo campo utilizzò soprattutto il sassofono contralto e il clarinetto basso. È un percorso emozionante quello che inizia con le prime incisioni con Chico Hamilton (ad esempio "Beyond The Blue Horizon" contenuto nel disco "Gongs East") passa per "My Favorite Things" realizzato con Coltrane al Greenwich Village nel 1962 e giunge al 1964 ai brani "Gazzelloni", "Out TO Lunch" o al lungo intervento in "Praying With Eric" con Charles Mingus "Town Hall Concert". La tecnica è da subito notevolissima, e via via con il passare del tempo non è più fine a se stessa, ma diventa un lavoro di ricerca espressiva e di intensa esplorazione delle possibilità ritmiche dello strumento. In "Outward Bound", la sua prima incisione da leader a New York del 1960, le novità non sono molte ma già pochi mesi dopo in "Out There" il suono acquista profondità mentre lo stile è più variegato e ricco. È possibile che vi sia stata un'influenza di Kirk, che fu comunque padroneggiata in modo pienamente originale. Dolphy usò con parsimonia il soffio e gli effetti frullato, indirizzandosi verso una musica ritmicamente elaborata e armonicamente più libera; si potrebbe dire più "naturale", più vicina al canto degli uccelli che tanto lo affascinava. Con Roland Kirk ed Eric Dolphy il flauto jazz otteneva finalmente una piena e riconosciuta identità solista, e sulla loro scia si posero in molti. Le loro conquiste espressive furono sviluppate (integrandole con quelle di altri) da un lato nell'ambito del free jazz e dall'altro nel connubio con espressioni di maggior presa commerciale come il rock. L'estetica di Kirk fu ripresa in particolare da Jeremy Steig e quella di Dolphy da Sam Rivers che si indirizzarono da un lato ad inglobare atmosfere rock e dall'altro elementi della tradizione africana. Contraddicendo lo stereotipo associato al colore della pelle, il bianco Jeremy Steig si dimostrò il più radicale nello sviluppare la lezione di Kirk. Virtuoso di vari flauti, ha elaborato uno stile di grande valenza espressionista, suonando con furia e traendo dallo strumento un ampio ventaglio di effetti non ortodossi (ultrasoffi, multisuoni, fu inoltre il primo ad inserire suoni di meccaniche dello strumento). Il suo stile fu giudicato da alcuni una forzatura artificiosa di quello di Kirk ma Steig dimostrò di possedere una vasta cultura musicale e doti di equilibrio e intelligenza. Si veda il sodalizio col bassista Eddie Gomez ("Outlaws" e altri dischi) anticipato da una raffinata collaborazione del 1969 col pianista Bill Evans in "What is New". Della sua fase "rock" ricordiamo "Jeremy And The Satyrs" e il sucessivo "Fusion". Se Jeremy Steig si è dedicato ai flauti in modo esclusivo, Sam Rivers ha diviso il suo tempo equamente tra questi, il sax tenore, il soprano e il pianoforte. Le prime testimonianze del Rivers flautista risalgono al 1965 (quando ormai aveva 35 anni) nel disco di Bobby Hutcherson "Dialogue", dove in "Les Noirs Marchant", mostra già chiaramente la tendenza ad un ritualismo free, che cerca la sintesi con le radici musicali africane. Negli anni sucessivi lo stile del Rivers flautista accresce la sua gamma sonora, restando però in equilibrio tra la contorta e talvolta furente espressione metropolitana ed il recupero di stilemi modali o panmodali, di derivazione etnica. Uno degli esempi migliori si trova nel disco in duo "Sam Rivers And Dave Holland vol.2" dove nel lungo brano "Ripples" si può seguire l'esplorazione del flautista sulla possibilità etniche ed espressive dello strumento. Dolphy influenzò anche alcuni flautisti europei: ricordiamo l'olandese Roland Snijeders, il bulgaro Simeon Shterev, i tedeschi Emil Mangelsdorff e Gunter Hampel, il cecoslovacco Jiri Stivin che si rifà non solo a Dolphy ma anche al jazz rock di Steig, e il polacco Laszek Zadlo. Negli anni Sessanta, su un altro versante meno creativo ma flautisticamente non meno importante, nasceva il "jazz bossa". Il connubio fra musica brasiliana e jazz aveva già avuto un precedente di rilievo nella collaborazione fra il chitarrista Laurindo Almeida e Bud Shank, iniziata nel 1954 e proseguita negli anni '70 con il quartetto californiano dei "Los Angeles Four" che annoverava, oltre a Shank al flauto e sax, Laurindo Almeida, Ray Brown e Shelly Manne.
 
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La nuova tendenza musicale vide impegnato in prima linea Herbie Mann in un lavoro di sintesi del linguaggio jazz con i ritmi latini. Nei dischi di quel periodo Mann riusci a sposare felicemente la pregnanza del jazz con la leggerezza armonica e timbrica di quello stile, come testimoniano alcune incisioni degli anni Sessanta per la Atlantic: "Do the Bossa Nova with Herbie Mann" inciso con Antonio Carlo Jobim, Sergio Mendez e Luis Carlos Vinhas, "Herbie Mann, Bossa Nova & Blues, at the Village Gate", "Rigth Now". Tornando al processo di ricerca e di emancipazione del nostro strumento, nella seconda metà degli anni Sessanta si avvicinò al flauto un grande maestro del jazz, John Coltrane, che dette un affascinante contributo alla dimensione timbrico-ritmica del flauto nell'impressionistico brano "TO Be" contenuto nel disco "Expression" (1967). Accanto a Coltrane era presente Pharoah Sanders all'ottavino il quale l'anno precedente si era messo in luce con Don Cherry (vedi gli album di questi "Symphony For Improvisers" e "Were Is Brooklyn") con alcune sequenze di grande espressività sul registro alto dello strumento.
Qualche anno dopo sarà lo stesso Don Cherry a dedicarsi ai flauti (escluso il traverso); usò anche il flauto cinese "Shuan" in ceramica, il "Maya Bird Flute" sudamericano, flauti primitivi e flauti che egli stesso costruiva. Un esempio dell'uso di questi flauti lo troviamo nei due album "Mu" del 1969, dall'evidente retaggio etnico. In questo periodo si misero in luce al flauto Harold McNair, Hubert Laws e Joe Farrell. Mc Nair non ha mai goduto di una celebrità consona alla sua bravura. Sconosciuto ai più, Mc Nair suonava il sax tenore e il flauto. Il suo linguaggio, pur ricordandoci in alcuni momenti Kirk e in altri il lirismo di Lateef, fonde il linguaggio delle origini nelle nuove forme musicali che si andavano formando in quel periodo, dimostrando una personalità che pochi in quel periodo hanno avuto. Ricordiamo "The Fence" del 1970 e "Harold Mc Naif' del 1972 registrati a Londra. Hubert Laws fu uno dei primi a dedicarsi interamente al flauto, è un raffinato solista di sensibilità e tecnica classica che sa esprimersi anche in contesti jazzistici. Dopo aver lavorato con Mongo Santamaria, John Lewis, Gunther Schuller, Gil Evans, nel 1969 superò un'audizione per la Metropolitan Opera Orchestra, restandovi quattro anni. Ha poi continuato con propri gruppi, ottenendo il successo con trascrizioni jazz di pezzi classici e collaborando in molti organici, con McCoy Tyner, Chik Corea, Milt Jackson. Le qualità del suo stile si evidenziano al meglio nei tre dischi Atlantic "Laws Of Jazz", "Flute By Laws, e "Wild Flower".
Joe Farrell è stato un artista sottovaIutato che si espresse al flauto con eleganza di fraseggio, sonorità leggera e notevole fantasia melodica, di lui ricordiamo il C.T.I "Joe Farrell Quartet" del 1970, "Benson & Farrell" del 1976 e "Flute Talk With Joe Farrell" inciso con Sam Most per la Xanadu nel 1979.
Dagli ultimi anni Sessanta alla metà del nuovo decennio il flauto incontrò ampi consensi fra i musicisti jazz: anche se raramente veniva usato in modo esclusivo, diminuiva il suo uso "coloristico" mentre La sua voce occupava un preciso ruolo nell'esplorazione di nuovi ambiti spaziali e timbrici. Si accentuava però il solco, già netto a metà del decennio, tra chi usava il flauto in contesti d'avanguardia e chi in ambito mainstream. Nasceva in quel periodo un'associazione denominata A.A.C.M. (Association for Advancement of Creative Music, fondata a Chicago il 9/5/1965 dal pianista Muhal Richard Abrams, che si proponeva come scopo principale la divulgazione della musica creativa dei musicisti di Chicago), e il flauto entrò stabilmente nel bagaglio polistrumentale di vari musicisti dell'associazione. Il gruppo più rappresentativo dell'A.A.C.M. fu sicuramente Art Ensemble of Chicago, capitanato da Joseph Jarman, anima politica del gruppo assieme a Roscoe Mitchell. Questi, affiancati da altri polistrumentisti come Marion Brown e soprattutto Anthony Braxton, hanno dimostrato per il flauto un interesse niente affatto episodico come non lo fu per altri musicisti che si cimentarono al flauto in quel periodo, ad esempio Gato Barbieri, che si dedicò a un lavoro coloristico più che tecnico; Nathan Davis, che suonò con Dolphy e con Art Blakey; Lloyd McNeil, insegnante di flauto alla Rutgers University del New Jersey, componente tra l'altro del quartetto di flauti Flute Force Four di James Newton e collaboratore nel '62 di Eric Dolphy; Chris Woods che studiò flauto con O Hany Klee; Ken Mclntyre, diplomato in flauto al conservatorio di Boston e allievo di Gigi Gryce, artista melodico nel fraseggio e dotato di un suono e di un vibrato vicini alla musica classica (un esempio di ciò lo troviamo nel disco con Eric Dolphy "Looking Ahead" , Prestige); Prince Lasha, che si ispira a Eric Dolphy; Giuseppi Logan, che suona un free jazz lontano dal linguaggio dolphyano; Bennie Maupin, epigono di Lateef, Charles Lloyd, che si rifaceva al linguaggio di Herbie Mann. Egli suonò con Chico Hamilton dal '61 al '64, e dal '65 formò un proprio gruppo, con il quale ottenne ampia notorietà. David Newman, e Mark Weinstein che negli anni 60' suonarono duettando al flauto in alcuni dischi di Herbie Mann.
 
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Altri musicisti interessanti che suonarono anche il flauto negli anni Sessanta furono Marvin Jenkins, Frank Strozier, Chris Hinze, Becky Friend, Buzz Renn, George Marge, Harold Vick, John Carter, Robin Kenyatta, Carlos Ward, Hadley Caliman, Bob Pierson, Harold Land.
Tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta la fortuna dello strumento continuò a crescere e molti flautisti si misero in luce militando nelle più importanti big bands. Norris Turney suonò con Duke Ellington dal '68 al '72; Jerry Dodgion si affermò con la Thad Jones/Mel Lewis Big Band nel '65; Billy Harper fu con Gil Evans nel '67 e con Thad Jones/MeI Lewis nel '70; Pat Patrick, James Spaulding, Marshall Allen, Danny Davis, svolsero un ruolo determinante nella definizione del suono dell'orchestra di Sun Ra, già dalla fine degli anni Cinquanta; Byard Lancaster lavorò con Sun Ra nel '69; Bobby Plater collaborò dal '45 al '64 con Lionel Hampton e dal settembre del '64 con l'orchestra di Count Basie, prendendo il posto di Frank Wess; Danny Turner entrò nell'orchestra di Basie nel '71; Cecil Payne suonò nell'orchestra di Hampton nel '63 e in quella di Basie dal '69 al '71; Gary Foster fu nella big band di Toshiko Akiyoshi dal '73, registrando più di quindici dischi; Eddie Daniels, virtuoso del clarinetto, che usò il flauto soprattutto in sezione, anche se in alcune incisioni appare come solista di flauto (al riguardo ricordiamo il disco in duo con il chitarrista Buchy Pizzarelli), militò con l'orchestra di Thad Jones e Mel Lewis. All'inizio degli anni Settanta sempre più musicisti si dedicarono al recupero della melodicità e della cantabilità del flauto. La riscoperta dell'elemento be bop caratterizzò numerosi gruppi, in particolare hard bop e neo bop, che rientravano nel mainstream jazzistico e che acquistarono un'importanza maggiore verso la fine del decennio. Altri musicisti, invece, continuarono con un lavoro di ricerca caratterizzato dalla libertà melodica e armonica. Nell'ambito di queste due tendenze emersero: Sonny Fortune, che militò con Mongo Santamaria, McCoy Tyner e Miles Davis (ricordiamo alcune interessanti registrazioni: "Awakening", "Wawes of Dreams "Serengeti Minstreal", "Long before our Mothers Cried"); Dave Valentine, allievo di Hubert Laws e Herbie Mann, registrò il suo primo disco "Legends" nel 1974 per la GRP, predilige la musica latina ma guarda con interesse anche alla musica rock e funky. È dotato di una tecnica superiore a tutti i flautisti jazz, si può considerare un vero virtuoso dello strumento; Lew Tabackin,a pianista giapponese Toshito Akiyoshi formerà la big band Lew TabackinToshito Akiyoshi, una delle migliori formazioni della fine degli anni Settanta, caratterizzata dall'originale inserimento di cinque flauti, capitanati dallo stesso Tabackin, il quale mostra una tecnica notevole e un suono molto forte e intenso, non utilizza tecniche come il parlato e l'ultrasoffio, ma lascia emergere nei suoi soli elementi legati alla musica contemporanea. Non vanno poi dimenticati altri personaggi. Citiamo, ad esempio, Jimmy Heath, ammiratore di Yusef Lateef; Oliver Lake, un flautista che aveva in passato suonato be bop e che, successivamente, influenzato da Dolphy, era entrato a far parte dell'avanguardia, fondando il B. A.G. (Black Artist Group); Julius Hemphill, anch'egli membro del B.A.G. e colonna portante del. V•/orld Saxophone Quartet, con una concezione di libertà armonica che lo portava a esprimersi in maniera sempre più personale; George Adams, che ha studiato flauto con Wayman Carver, molto richiesto nelle big bands (ha suonato, fra l'altro, con Mingus e con l'orchestra di Gil Evans); J. D. Parran, appartenente al B.A.G., appassionato di sperimentazioni e del suono dell'ottavino; Steve Potts, dal 1977 membro stabile del gruppo di Steve Lacy; il clarinettista Gimmy Giuffre che in quegli anni si dedicò al flauto e al flauto basso su canoni accademici, elaborando però tematiche originali. Altri musicisti si orientarono sui flauti dolci ed etnici per tracciare linee di ricerca timbrico-coloristica, come Leo Smith; Donald Rafael Garrett, musicista dal passato glorioso, che aveva suonato con John Coltrane e Roland Kirk e collaborato con musicisti italiani; i pianisti Keith Jarrett e Dollar Brand; Douglas Ewart, seguace di Dolphy Ira Sullivan che registrò un pregevole disco in duo con il chitarrista Joe Diorio alternando al sax alto e soprano, il flauto e il flauto contralto, dal titolo " The Breeze and I" (1994). Altri musicisti che dagli anni Settanta suonarono anche il flauto furono: Steve Slagle, Joe Ford, Bob Downes, Wallace McMillan, Andrew Strasmich, Eric Ghost, Vinny Golia, Alan Braufman, Dwight Andrews, Chris Hayward, Tom Malone, Mike Bergstraesser, Michael Cosmic, Dave Liebman, Harold Alexander, Walter Zuber Armstrong, Masami Nakagawa, L. D. Levy, Kalaparusha, Charlie Mariano, Luther C. Petty, Herb Geller, Abdul Hannan, Andrew Voigt, Steve Houben. Gli anni Settanta furono caratterizzati anche dall'avvento della musica jazz rock. Per quanto riguarda il flauto, uno dei primi gruppi ad abbracciare questo genere fu Jeremy and the Satyrs, capitanato dal flautista Jeremy Steig che, insieme a Roland Kirk, come abbiamo già detto, fu uno dei massimi esponenti dell'ultrasoffio. Questa tecnica fu poi utilizzata anche dal baritonista Sahib Shihab e dal brasiliano Hermeto Pascoal. Quest'ultimo è nato in Brasile nel 1936 ed è una delle figure più caratteristiche della musica brasiliana. Si è fatto conoscere al pubblico internazionale suonando nel "Quartetto Novo" con Airto Moreira. Registrò nel 1972 nel disco di Davis "Live Evil", una delle più importanti registrazioni nell'ambito della musica rock del periodo. Vorrei aprire una parentesi sulla musica Brasiliana. Il flauto in Brasile ha trovato subito la sua affermazione diventando lo strumento principale in alcuni degli ensemble popolari. Il merito iniziale fu del famoso musicista Alfredo Da Rocha Vianna detto Pixinguinha (1898). che suonò con Oito Batutas dal 1910 al 1940.. Quando incise nel 1928 "Carinhoso" alcuni critici lo accusarono di "americanizzarsi" perché pensavano che la sua musica si avvicinasse troppo al jazz: non era così, rappresentava solo un cambiamento epocale nella struttura del "Choro" tradizionale. Purtroppo a causa di problemi alle labbra Pixinguinha dovette smettere di suonare il flauto e si dedicò al sassofono. Alla sua morte avvenuta nel 1973 le migliaia di persone intervenute cantarono la sua "Carinhoso", composta originalmente per flauto.
 
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Ma ritornando all'ultrasoffio fu anche usato da tutta la nuova generazione di flautisti jazz rock che si andavano imponendo in quel periodo. Se Io statunitense Jeremy Steig fu il primo ad usare il flauto nella musica rock, l'affermazione e la divulgazione dello strumento in questo ambito avviene per merito delle formazioni rock inglesi e, anche se in modo inferiore, di quelle del resto dell'Europa. I Jethro Tull furono tra i primi ad inserire nel proprio organico il flauto. Ian Anderson, nato in Scozia il IO agosto 1947, leader incontrastato della formazione inglese e seguace di Roland Kirk (che sarà eletto in seguito a suo maestro di vita), seppe fondere le sonorità del flauto jazz con l'aggressività della musica rock, ottenendo un risultato eccellente. Un grosso merito di questo gruppo, affiancato poi da altri, fu quello di far conoscere alle grandi masse il flauto, dando un impulso all'uso e allo studio di questo strumento come mai in questa dimensione era avvenuto prima. "This Was", dell'ottobre del 1968, fu il primo L.P. del gruppo inglese, evi era inserito un brano di Kirk "Serenade to a Cuckoo"; a questo ne seguirono altri in media uno all'anno, integrati con alcuni 45 giri, di gran moda in quel periodo. Un altro gruppo inglese che si affermò in quel periodo furono iTraffic. Il quartetto, capitanato dal cantante tastierista Steve Winwood, vedeva ai sassofoni e flauto Chris Wood. Nato a Birmingham il 24 giugno del 1944, Wood suonò il flauto con palese fraseggio jazz risultando il più jazzista di tutti i flautisti rock di quel periodo. L'album del debutto per i Traffic fu "Mr Fantasy", del 1967; tra quelli che seguirono va ricordato l'incomparabile "John Barleycorn Must Die" del 1970, in trio con uno splendido Wood al flauto. Un altro gruppo rock che va menzionato sono gli olandesi Focus. Capitanati da Thys Van Leer, tastierista cantante e flautista, i Focus pubblicarono il loro primo album, "Moving Waves", nel 1971. Questo disco stabilì lo stile del gruppo specializzato nel riproporre classici in ambito rock, affidandosi alle abillità improvvisative di Van Leer. A queste tre formazioni, le più importanti, ne seguirono più di venti, delle quali più della metà inglesi.

Le formazioni inglesi furono: The Chieftains (Sean Potts flauto di latta, Michael Tubridy flauto), IF (Dick Morrissey sax, flauto), Manfred Mann (Mike Vickers sax, flauto, chitarra), Horslips (Jam Lochart flauto), Moody Blues (Ray Thomas flauto, voce), Genesis dal 1969 al 1974 con Peter Gabriel (flauto voce), Back Door (Ron Aspery sax, flauto, tastiere), Gong (Didier Malerbe flauto, sax), Greenslade (Dave Lawson voce, tastiere, clarinetto, flauto), Gryphon (Richard Harvey flauto dolce), Hawkwind (Nik Turner voce, sax, flauto), Henry Cow (Cooper Lisdsay oboe, flauto, fagotto e piano), Osibisa (Teddy Osei flauto, sax, percussioni).

I gruppi Statunitensi furono: Sea Train (Andy Kulberg flauto, basso elettrico), Stackridge (Mutter Slater voce, flauto), Steeleye Span (Nigel Pegrum flauto, batteria), Horslips (Jam Lochart flauto), The Marshall Tucker Band (Jerry Eubanks flauto, sax e voce), Earth, Wind & Fire (Andrew Graham flauto), Blues Project (Andy Kulberg basso, flauto), Tower Of Power (Lenny Pickett sax, flauto), Heart (Ann Wilson voce, flauto, chitarra), King Crimson (Mel Collins), Chicago (Tom Scott, Walter Parazaider), Soft Machine (Ray Warleigh e Karl Jenkins).
Altri flautisti che militarono in formazioni rock furono: Gerry Niewood, Bobby Humphrey, Barbara Thompson, Chris Hinze.
 
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Formazioni europee che ebbero nel loro organico il flauto furono: i tedeschi Tangerine Dream (Peter Baumann tastiere, sintetizzatore, flauto), gli olandesi Golden Earring (Barry Hay voce, flauto, sax), e gli italiani Premiata Forneria Marconi (Mauro Pagani flauto), Osanna e Nova (Elio D'Anna sax, flauto), i Delirium con Ivano Fossati. Anche se l'uso del flauto in queste formazioni fu spesso marginale, il contributo alla divulgazione dello strumento fu grande, essendo questi gruppi di grande ascolto da parte delle nuove generazioni. Negli anni Ottanta i musicisti che emersero e che si impegnarono in un ulteriore lavoro di ricerca furono: Henry Threadgill, leader del gruppo Air; Hamiet Bluiett, del World Saxophone Quartet, James Newton, unico tra questi ad aver scelto esclusivamente il flauto.
Maturato nell'ambiente musicale della "Black California" degli anni Settanta, quest'ultimo ha avuto modo di operare una sintesi tra influenze giovanili di blues e gospel, l'educazione musicale accademica e la formativa esperienza con Buddy Collette, John Carter, David Murray, Arthur Blythe e altri solisti operanti a Los Angeles. Profondo conoscitore ed estimatore di Dolphy e della sua musica, Newton ha saputo coglierne il lato migliore, per continuare poi con i suoi mezzi in un lavoro di ricerca. Al riguardo mi disse: "Dolphy spinse la musica in avanti, verso il futuro; prendeva sempre molti rischi quando suonava. Io ho tutto questo equipaggiamento nel mio studio, perché stiamo andando verso il XXI secolo e la musica deve andare verso il futuro". Passato definitivamente al flauto nel 1977, Newton ha evidenziato una tecnica da concertista dove entrano i vari effetti timbrici nati dalla tradizione strumentale jazzistica (suoni doppi, frullati, glissati ecc...). Inoltre 0 ha espresso un originale modo di vocalizzare quando suona, arrivando a contrappuntare con la voce la linea melodica del suo strumento. Già nei primi dischi a suo nome, "Paseo Det Mar" del 1978, il solitario "Axum" del 1981, "James Newton" del 1982 e "Luella't dell'anno successivo, appaiono chiare le coordinate del suo affascinante camerismo jazzistico, di chiara impronta contemporanea. Fondatore e ideatore del gruppo "Force Flute" che comprendeva oltre a Newton che si alterna al flauto contralto e basso, Henry Threadgill al flauto e al flauto basso, Pedro Eustache che si alterna con tutta la famiglia dei flauti compreso l'ottavino e Melicio Magdaluyo al flauto e al flauto contralto. Questo quartetto ha partecipato a numerosi festival registrando il C.D "Force Flute 4 flutistry" per l'etichetta italiana Black Saint uscito nell'autunno del 1997. Ma un numero sempre maggiore di musicisti ha iniziato a dedicarsi alla musica etnica e alla riscoperta dei valori della propria terra, come i pellerossa Robert Tree Cody e Nakay, quest'ultimo autore anche di un pregevole metodo per studiare e conoscere il flauto tipico della sua terra. L'argentino Dario Domingues, l'indiano Hariprasad Chaurasia (che suona un flauto in bambù di origine popolare, buon mezzo per esprimere le sfumature sottili della musica classica indiana) e il norvegese Jan Garbarek, che fonde la musica jazz con la sua cultura nordeuropea, (di pregevole fattezza è il CD "Red Lanta" con il pianista Art Lande). Altri sono confluiti nella cosiddetta musica new age, movimento sorto intorno alla metà degli anni Ottanta, che unisce elementi folkamericani o europei con stilemi di musica contemporanea, ma il cui risultato molto spesso si avvicina pericolosamente alla musica leggera. Fra questi musicisti ricordiamo Steve Kujala, figlio d'arte, che iniziò la sua carriera con incisioni pregevoli dove il suono, la tecnica e la sua cultura classico-contemporanea davano risultati eccellenti; ricordiamo il disco in duo "Voyage" con Chick Corea, e "Heards hands hearts" in trio del 1990; Nester Torres Portoricano, suona il Latin Jazz, ha studiato al New England Conservatory e si è creato il linguaggio jazz ascoltando i dischi di Hubert Laws e di Herbie Mann; Dave Newman, alterna il flauto al sax, suona spesso con musicisti legati alla musica leggera, ha registrato in compagnia di Herbie Mann e di Dave Valentine; Edward Christman che nel suo CD "Song of the Golden Lotus" suona il flauto basso, suo strumento principale, e il flauto, in un modo che ci riporta alle atmosfere rarefatte di Eric Satie; il flautista Alexander Zonjic, che suona un funky piacevole, tecnico, brillante. Robert Dick è specialista della musica contemporanea e di tutte le risorse flautistiche e autore di un valido metodo per flauto. Dick raccoglie sotto di sé una serie di flautisti provenenti dalla musica classica, che però sono interessati alle nuove sonorità del flauto, e meno all'aspetto jazzistico dello strumento. Nei suoi concerti Dick usa spesso flauti che si è fatto costruire su suo originale progetto, che creano una gamma sonora che passa attraverso glissati, note doppie ed effetti stravaganti. La respirazione circolare è uno degli aspetti più interessanti del flautista newyorchese; tale tecnica praticata in precedenza da Kirk, gli permette di costruirsi dei veri bordoni, per poterci sovrapporre un secondo suono. Robert Dick è nato nel 1950 a New York ed ha studiato all'York's High School of Music and Art. Ricordiamo di lui "The Other Flute" del 1989, che è anche il titolo del metodo sopra citato, "Worlds of if" del 1995. Kent Jordan, Gary Thomas, Tom Chapin, Jean Luc Barbier, Marty Ehrlich, Mary Fettig, Steve Adams, Karlton Hester, Marion Brandis, Pierre Bernard, Jaroslav Solc, Anders Hagberg, Peter Gordon, sono altri nomi emergenti negli anni Ottanta.
 
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La prima metà degli anni Novanta, vede il flauto ancora protagonista nei vari contesti musicali. Si mette in bella evidenza l'Australiano Gunter Wehinger, che anche se ha suonato le tastiere in svariate formazioni rock, rimane un flautista puro. Allievo di James Newton, registra il suo primo disco nel 1992, "As Promised", nel quale si sente ancora l'influenza del maestro; cordone ombelicare che riuscirà a tagliare subito dopo, ricordiamo "Cry Flute" del 1995. Ma l'aspetto che emerge nei primi anni Novanta è la figura femminile nell'ambito del flauto jazz. Nella musica "Colta" il flauto annovera una schiera di musiciste brave impegnate in orchestra, nell'attività concertistica, ma spesso nella didattica, arte non sempre gratificante, che alterna momenti di gloria ad altri di depressione. Pur essendo considerato da molti uno strumento tipicamente femminile, il flauto jazz fino alla fine degli anni settanta non vantava suonatrici, se non in qualche sporadica apparizione con Barbara Thomson (più che altro in lavoro di sezione), Andrea Brachfeld che collabora in numerose registrazioni già dal 1973 con orchestre e formazioni latin-jazz, con l'altoista e flautista Mary Fettig, che si può ascoltare nel disco "In Good Company" del 1985. Nell'ultimo decennio del secolo scorso si mettono in evidenza alcune musiciste, sopra tutte emergono le figure di Ali Ryerson e Holly Hofmann. Entrambe registrando il loro primo lavoro riel 1992. Ali ha registrato il suo primo CD "Blue Flute" nel 1992, seguito da "Portraits In Silver" del 1995 e da "In Her Own Sweet Way" del 1996. Ha compiuto gli studi classici con due famosi maestri, Harold Bennet e Julius Baker, quest'ultimo nominato spesso da jazzisti non solo per essere un concertista, ma anche per il suo ruolo didattico. Holly Hofmann ha alle sue spalle un background classico, ed ha al suo attivo diversi lavori, ricordiamo "Duo Personality" del 1992. Vanno ricordate anche la sopranista Jane Bunnett, che registra nel 1994 "The Water is Wide" e ci regala una buona versione al flauto "Serenade To a Cuckoo" di Roland Kirk; Gail Thompson che oltre a suonare il flauto dirige l'ensemble "Jazz Africa". Altri nomi illustri del flauto jazz sono: Jan Leder (foto 36), Nora Nausbaum, James Baum, Wodd Elise. Tra gli altri musicisti che hanno iniziato a mettersi in luce nel primo quinquennio degli anni novanta troviamo anche: Jorge Pardo, che suona a fianco di Paco De Lucia, Lucas Santana, uno dei tanti bravi e sconosciuti musicisti brasiliani che ha avuto la fortuna di suonare con Gilberto Gil e di farsi conoscere. Phillip Bent, impegnato in una musica che non ha niente a che vedere con jazz, o con altri tipi di musica di ricerca, ma sconfina in una sorta di commerciale poco edificante. Ricordiamo la sua prima fatica discografica dal titolo "Pressure" della scuderia GRP. Per quanto riguarda il flauto jazz in Italia vi ricordo un più esaustivo articolo apparso su queste pagine nel numero 5 aprile-giugno 2000, dal titolo I flautisti Jazz Italiani. Vorrei ricordare inomi più importante e citarne la discografia con sigliata. I pionieri furono: il contrabbassista e flautista Carlo Pecori, che registrò nel 1941 a Berlino nella Mit Seinem Bar Orchestra del saxofonista Tullio Mobiglia. Mobiglia stesso si dedicò al flauto sul finire degli anni cinquanta. Verso la fine degli anni quaranta si misero in luce al flauto Marcello Boschi, Enzo Scoppa e William Righi. Negli anni cinquanta il musicista che emerse maggiormente fu Gino Marinacci (1926-1980). La sua prima apparizione al flauto risale a! 1959 con Armando Trovaioli nel disco Softly. Collaborò con musicisti americani come Chet Baker, Lee Konitz, Sal Nistico e fece parte dell'orchestra della Rai dal 1961 al 1974. Dal 1967 si dedicò quasi esclusivamente ai flauti usandone l'intera famiglia. Nel 1972 fu ideatore della trasmissione televisiva "Amico Flauto" dove comparve come autore ed esecutore delle composizioni e degli arrangiamenti. Negli anni Sessanta alcune formazioni di jazz italiane di prim'ordine ospitarono nel loro organico musicisti americani e stranieri. Da tali sessions nacquero alcune registrazioni, tra le quali ricordiamo: "Buddy Collette in Italy" del 1961, "The Italian Session" del 1962, con Amedeo Tommasi al pianoforte che vedeva, oltre a Chet Baker, Bobby Jaspar al flauto. Nei decenni Sessanta-Settanta si misero in luce il saxofonista e flautista Gianni Bedori, Sergio Rigon, Hugo Heredia, argentino di nascita ma italiano di adozione, Renato Geremia, Giancarlo Barigozzi. A mio avviso è la figura più interessante dei musicisti della "vecchia scuola".
 
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La situazione odierna trova numerosi flautisti interessati a questo nobile strumento e la maggior parte di loro ha all'attivo gli studi classici con il conseguimento del diploma al Conservatorio, il presuppone una buona base tecnicosonora di partenza. Vorrei ricordare: Giulio Visibelli, Eugenio Colombo, Enzo Nini, Sandro Cerino, Claudio Allifran, Riccardo Luppi, Massimo De Mattia, Emilio Galante, Stefano Benini, autore di questo scritto; Nicola Stilo, Luca Berliat, Giuseppe Scarcella, Carlo Cattano, Roberto Natullo, e va ricordato Peter Guidi, talo-scozzese che vive da anni ad Amsterdam. Ricordiamo ancora, oltre al compianto Larry Nocella che iniziò la sua carriera suonando il flauto, anche se non è rimasto nulla di registrato, Pietro Tonolo, Bruno Marini, Roberto Aglieri, Roberto Soggetti, Antonio Santoro. Va segnalato anche "Songs For Jethro" il CD italiano di tributo ai Jethro Tull che contiene 20 brani celebri del gruppo capitanato da Anderson eseguiti da altrettante formazioni tra le quale spiccano il flautisti Jerry Cutillo del gruppo Oak, Giancarlo Cutuli dei Malibran, Giacomo Lelli dei Lincoln, Alessandro Toniolo dei Germinale, Massimo Faletti dei BeggaHs Farm, Aldo Tagliaferro dei Grand Court Jesters. Tutti bravi epigoni del grande Ian. Vorrei segnalare che i Jethro Tull hanno in Italia un loro fan club: "Itullians" il presidente e coautore del bollettino periodico è Aldo Tagliaferro.